Con la cultura si mangia? E’ la domanda degli ultimi anni, con cui la riflessione politica sul ruolo del pensiero, dell’arte e dell’intelletto nella nostra società, in questo momento di difficile crisi economica e sociale, ha raggiunto il livello più infimo. E sta anche all’arte e alla cultura stesse affermarsi, riscattarsi, con forza e quando possibile con ironia e leggerezza. L’Ensemble di Teatro Due lo fa ora attraverso la voce di Aristofane: se ne Le rane ci s’interrogava sulla funzione salvifica dell’arte e della poesia nella vita della polis, Le nuvole segnano un nuovo passo nel repertorio basato sui classici attraverso una riflessione ironica e divertente sulle armi di persuasione di massa, sulla forza che le parole acquistano quando volte a fini non meritevoli. L’Ensemble conduce il pubblico in un percorso “on the road” verso la verità, che scopriremo mutevole e soggettiva.Ne parliamo con Gigi Dall’Aglio.

Dopo il successo de Le rane, prosegue il vostro viaggio lungo l’opera di Aristofane. Come avete proceduto in questa seconda tappa de Le nuvole?

Ne Le rane siamo riusciti a far funzionare il testo di Aristofane attivandolo come probabilmente era attivo a suo tempo e cercando di restituirgli la stessa freschezza; non tanto aggiornando le battute, che facciamo solo per gioco, ma restituendo il senso profondo del testo: l’importanza della poesia per salvare la città nei momenti di crisi. In quell’occasione, oltre alla forma e alle battute che emergono automaticamente parlando di degenerazione politica e crisi istituzionale, siamo riusciti a rendere la sostanza del lavoro di Aristofane oggi.
Le nuvole parlano di un altro tema che ci è caro e che è molto vivo nella nostra realtà: il senso e l’importanza del dibattuto culturale all’interno di una società in crisi; un dibattito culturale che lasci spazio a tutte le voci, anche a quelle che creano disagio, difficoltà, antipatia. In questa commedia, fatto abbastanza unico nella storia del teatro, c’è un esemplare di protagonista negativo, per nulla neutro o minimale, ma completamente, perversamente, brutalmente negativo. Strepsiade e suo figlio Filippide fanno parte di quella categoria di persone che hanno l’arroganza della propria ignoranza, che si sentono in potere di proclamare senza alcuna vergogna che la cultura serve solo a soddisfare i propri bassi scopi. Le nuvole dunque è uno spettacolo che smaschera chi ha questo atteggiamento nei confronti della cultura, approccio che impedisce di avere un orizzonte più grande, che mutila e castra la possibilità di guardarsi intorno e davanti, e che sfocia molto spesso nella violenza. Il tormentone di Strepsiade è: se con la cultura uno paga i debiti, allora viva la cultura! Ma la strumentalizzazione del pensiero e dell’arte va incontro alla disillusione, dato che la cultura piegata a queste esigenze evapora e genera forze inique e incontrollabili.

Chi sono dunque queste Nuvole?

Abbiamo rappresentato il coro delle nuvole legandolo all’universo femminile: sono figure che assistono a questa bassa vicenda, a questo scontro inutile di personalità e intelligenze, e giudicano questo povero mondo. Nella nostra lettura sono divinità importati, a cui non viene mai riconosciuto il proprio impegno e lavoro. Rispetto al coro delle rane, quello delle nuvole è molto più limpido e leggibile, meno criptico e più esplicito; porta una voce forte allo spettatore, anche se nella finzione resta spesso inascoltato, come forse nella realtà.

E Socrate, i sofisti, come arrivano fino a noi come personaggi e come critica?

Questa è una commedia anche contro Socrate, infatti oggi è possibile immaginare il disagio che poteva provocare il suo pensiero al tempo di Aristofane. Che Socrate sia finito male lo sappiamo tutti (la cicuta), ma ci piace pensare che Aristofane abbia voluto creare per Socrate solo una morte teatrale, metaforica. Attraverso il teatro lo abbiamo collocato in una dimensione ambigua tra realtà storica e scherzo teatrale.

Come è strutturato dunque l’allestimento?

Considerando che nel teatro greco l’elemento fondante della scenografia era la struttura stessa che accoglieva la scenografia, cioè il teatro, abbiamo tenuto lo spazio pulito come per Le rane. In quell’occasione abbiamo introdotto sul palco solo alcuni elementi sovrapposti e lo stesso accade qui: ci sarà un elemento originale, catalizzante, che darà impulso a molte scene, che scoprirete venendo a vedere lo spettacolo.

Anche il gioco meta-teatrale, che ne Le rane era evocato dal testo, qui si è conservato?

Là c’era la possibilità di un meccanismo scenico di teatro nel teatro esplicito, dato che i protagonisti stessi erano teatranti e si confrontavano su quel terreno. Qui ci sono solo alcuni elementi di questo genere, ma fin dall’inizio abbiamo mantenuto un’impostazione meta-teatrale, stabilendo che tutti i personaggi della commedia, a parte il protagonista, vivono nel luogo dove la pratica della menzogna li fa vivere realmente e in finzione. Anche Socrate è un doppio: come è mostrato da Aristofane e come lui si rappresenta nella sua Apologia.
In scena dunque la rappresentazione si autorappresenta e scopriamo che per esprimere la verità del teatro si deve mentire, e questo è il principio stesso del mito. Il mito non è mai corrispondente alla realtà, e per assolvere alla sua funzione sociale deve mantenersi più vero del vero, deve volare sopra le nostre faticose quotidianità.