Pubblicato nel 1938, l’anno della scomparsa improvvisa del suo autore, in pieno regime nazista, Gioventù senza Dio è il primo romanzo di Horváth. Pubblichiamo qui la recensione del libro che lo stesso anno scrisse l’autore Klaus Mann.

Si può dire ogni male della letteratura tedesca dell‘esilio – ed effettivamente non esiste ingiuria che non potesse essere espressa contro di essa dai giornalisti del Terzo Reich di Goebbels; ma non si può certo dire che sia monotona, uniforme, o non sufficientemente varia. Non crea certamente sempre solo la perfezione; ma è viva e come ogni cosa vivente non smette mai di regalare sorprese.

Ed è proprio una sorpresa in tal senso “Gioventù senza Dio“ (“Jugend ohne Gott”– Edizione Allert de Lange, Amsterdam) il primo romanzo di un giovane autore di origine ungherese: Ödön von Horváth.  Ad oggi Horváth era conosciuto dal pubblico letterario tedesco solo come drammaturgo: per una delle sue opere, Storie del bosco viennese (Geschichten aus dem Wienerwald), rappresentata al Deutsches Theater di Berlino, è stata insignita del premio letterario tedesco Kleist-Preis. Il suo primo grande lavoro di prosa ha tutte le caratteristiche di mistero e fascino della vera poesia. La gioventù senza Dio, impersonificata dall’eroe tragico collettivo del suo libro, non ha più né ideali, né fede – un’epoca materialistica li ha privati di questi ultimi -, e il fascismo non ha dato loro nulla in cambio della religiosità persa se non il culto della violenza e la brutalità come principi. La gioventù senza Dio è tanto triste quanto malvagia; è crudele e melanconica. Questi giovani non hanno fiducia né l’uno nell‘altro, né negli adulti. La sconsolata e pericolosa gioventù che Horváth ha in mente e descrive è quella fascista del Terzo Reich; tuttavia la politica stessa si manifesta solo in forma indiretta in questo racconto, che è vera poesia lungi dall’essere un reportage. L’orientamento politico del libro, ossia la denuncia del fascismo, si legge solo tra le righe. Lo stile molto semplice, molto personale e suggestivo del libro ha elementi tipici delle fiabe e delle leggende. Anche la fremente storia criminale che domina la scena (l’uccisione di un ragazzo e tutte le conseguenti implicazioni), ha, in tutta la plastica e la precisione della rappresentazione, qualcosa di spettrale, di onirico. Il profondo orrore che Horváth sa di suscitare nel lettore, è analogo, a quello che lasciano per sempre in noi i racconti di alcuni Romantici tedeschi, come per esempio E.T.A. Hoffmann o Tieck. L’effetto della tendenza alla critica delle problematiche dell’epoca e della politica, presenti nella poesia in prosa di Horváth, non viene indebolito da questa intensa lirica dell’interpretazione, bensì elevato in modo particolare.

(1938)