Dei molti eccessi dei quali il Festival Due Dimensioni si è macchiato, quello di prudenza fu commesso una volta sola: quando gli venne dato il nome. Si, perché fu ben presto chiaro che due sole dimensioni erano troppo poche per contenere le indicazioni di percorso, i suggerimenti e le suggestioni, i piani di lettura che nel corso degli anni, intensi e ricchi, si sono sovrapposti, intersecati, scoperti, abbandonati e ripresi. A testimoniare inoltre che non è la lunghezza del percorso che è importante, ma quello che durante il viaggio viene scoperto, che conta.

Perché un viaggio è stato, quello del Festival Due Dimensioni, voluto, fatto e sostenuto esclusivamente da musicisti e da gente di teatro, riuscendo a coinvolgere, prima di chiunque altro, altri musicisti ed altra gente di teatro: in un momento nel quale proposte e risposte sembrava vivessero in fervida coincidenza di tempi e di volontà irripetibile, forse, ma chi sa?
All’inizio erano antico e moderno: adesso sembra strano, ma c’è stato un tempo in cui la musica antica eseguita con prassi e strumenti autentici era ancora una scoperta. A Parma, la scoperta avvenne attraverso il Festival Due Dimensioni, naturalmente. Fortepiani, clavicembali, ensembles, contratenori, flauti di ogni specie popolavano il palcoscenico di Teatro Due in un accumulo, anche fisico, che testimoniava come anticipare i tempi sia l’unico modo per viverli.

Antico e moderno, ed alle Cantigas de Santa Maria, ai Brandeburghesi, alle Cantate seguivano Castaldi e Juan Hidalgo, le serate futuriste, così ricche e così festose di musica ed eventi, così tanto vive e così poco patinate. Eterogeneo, dispersivo, poco accademico, trasversale? Dopo poco, già, le definizioni si sprecavano, mano a mano che la ricchezza delle proposte si intensificava in un fervore ideativo che le ristrettezze organizzative non riuscivano a limitare. Le serate Satie, gli esperimenti vocali dell’indimenticato Frank Royon Le Mèe, il celebratissimo concerto subacqueo di Michel Redolfi, che scomodò i critici più paludati d’Italia a recensirlo in costume da bagno ed occhialini, poiché l’unica maniera di ascoltarlo era sott’acqua, gli esperimenti classicheggianti di una chanteuse come Alice, l’opera lirica “Genesi” di Franco Battiato, l ‘”Opera da tre soldi” diretta da Gaslini con cantanti jazz, rock e barocchi, nacquero così, in questi anni fecondi, dove le idee più nuove (qualcuno le trovava pazze) trovavano sempre qualcuno che diceva: perché no?, È proprio quello che vorrei fare! Così come a Parma la musica antica fu scoperta qui, così a Parma il minimalismo nacque al Festival Due Dimensioni: in anni nei quali bisognava ancora attenderne parecchi, per ritrovarlo poi, prezzemolo di ogni proposta di ogni stagione concertistica. Non è un merito, ma una realtà. In un’epoca in cui non ci si merita ancora, di “abbattere gli steccati”, di “allargare i programmi”, di “fondere i generi”, ci troviamo a parlare di un Festival che in francescana povertà di mezzi, ma in incontaminata ricchezza di idee, e tracimante capacità di coinvolgimento artistico, allineava vent’anni fa i nomi di Alvin Curran e Stanley Hoogland, Cathy Berberian e Sergio Vartolo, Kenneth Gilbert e Meredith Monk, Anner Bijlsma ed Antonio Ballista, Gustav Leonhardt, e Michael Aspinall, Frans Brüggen e Mal Waldron, Giorgio Gaslini e Gloria Banditelli, René Jacobs e Giancarlo Cardini. E sono alcuni dei nomi, oggi ancor più celebri, che hanno popolato i programmi di questo Festival dalla vista lunga.

Per fare la storia delle edizioni del Festival Due Dimensioni basterebbe (e si fa per dire) farne una cronologia di date, programmi e nomi: confronti?

Vincenzo Raffaele Segreto