Politica e resistenza, Ghiannis Ritsos insinua i temi che hanno dominato tutta la sua esistenza, con il lirismo impetuoso delle immagini evocate dai suoi versi, nei miti di Persefone e Oreste al debutto a Teatro Due martedì 25 novembre alle ore 21.00, secondo ciclo del progetto QUARTA DIMENSIONE.

Figlia di Zeus e della dea Demetra, Persefone fu rapita e portata nell’Oltretomba dallo zio Ade, re degli Inferi, per farne la sua sposa. Egli le offrì sei chicchi di melograno che la condannarono a passare altrettanti mesi nel regno dei morti, mentre durante gli altri sei avrebbe potuto tornare sulla terra, da sua madre Demetra, portando con sé la fertilità della primavera.

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Persefone è una morta che torna alla vita per dire che i vivi abitano un mondo di illusioni – scrive Le Moli – La luce di cui godono i viventi è troppo accecante per essere gradevole; soltanto l’oscurità dell’Ade permette di distinguere le pieghe della realtà, rispetto ad un chiarore che appiattisce tutto. Con la sua esistenza da uccello migratorio che rincorre le stagioni, ragiona sull’attrazione della morte, sull’oscurità, abisso agognato capace di nascondere.

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L’esistenza sdoppiata di Persefone, interpretata da Paola De Crescenzo, diviene in scena un dialogo fra la sua “dimensione nera” che vive nell’oltretomba come amante di Ade, e il suo doppio in terra (grazie al video realizzati da Lucrezia Le Moli): una prigioniera che ama il suo aguzzino, come una vittima ama il proprio carnefice per non impazzire, e forse anche come Ritsos che accettò la prigionia come naturale conseguenza della sua coerenza politica.

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Persefone con la sua attrazione per Ade – prosegue Le Moli – diviene figura della profonda certezza della fine e del “sempre”. Non della malattia della morte scrive Ritsos, ma forse del suo vivere e vedere nel buio che “sia la morte la parte più autentica di noi”.

 

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Oreste, interpretato da Massimiliano Sbarsi, è anch’esso uno dei componimenti “politici”, opera di un poeta che scelse la lotta e subì la prigionia in difesa del suo impegno e della sua volontà di farsi artefice del proprio destino.Oreste, figlio del re Agamennone e di Clitemnestra, fratello di Ifigenia, Elettra e Crisotemide, è destinato a vendicare il padre, ucciso dalla moglie con la complicità del suo amante Egisto. Lo rivela l’oracolo di Delfi, lo richiede a gran voce Elettra. Accompagnato dall’amico Pilade, il giovane, torna alla città natale per compiere il suo destino: fingendosi un viaggiatore incaricato di annunciare la propria morte, Oreste viene accolto nella reggia, dove uccide prima Egisto e poi Clitemnestra. Il matricidio però scatenerà la furia delle Erinni, divinità della vendetta contro i parenti, che torturano Oreste fino a farlo impazzire.

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Oreste non vuole entrare in una Storia che già scritta dagli Dei e da altri prima di lui – prosegue Le Moli -Le parole, la vendetta e la stessa giustizia non hanno più significato perché si riferiscono ad un passato che non è più il suo presente. Un’attrazione e un amore quasi morboso verso la Natura e l’umano, un’ipersensibile propensione alla meditazione e all’incantamento non lo predispone all’omicidio della madre, alla vendetta del padre, al riscatto della famiglia. Tuttavia – anche se il nuovo delitto riattiverà la catena della colpa, anche se dovesse divenire un usurpatore – Oreste sceglie l’azione, affinché “respiri (se può) questo Paese”.

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