IL MALATO IMMAGINARIO
di Molière
con
Argan Massimiliano Sbarsi
Belina Cristina Cattellani
Angelica, Luisetta Paola De Crescenzo
Beraldo, Signor Buonafede Emanuele Vezzoli
Cleante, Prologo, Pulcinella Luca Nucera
Professor Fecis, Professor Purgon Nanni Tormen
Tommaso Fecis Sergio Filippa
Dottor Aulente Luca Giombi
Toinette Laura Cleri
spazio scenico con opera di Luca Pignatelli
costumi Gianluca Falaschi
luci Claudio Coloretti
arrangiamenti musicali Bruno De Franceschi
assistenti alla regia Caroline Chaniolleau, Giacomo Giuntini
assistente ai costumi Giulia Giannino
maschere e trucco Bruna Calvaresi
regia Walter Le Moli
produzione Fondazione Teatro Due
Spazio Grande
10, 11, 12, 13, 19, 21 gennaio 2017 – ore 20.30
domenica 15 gennaio – ore 16.00
Un’opera che vive di contrasti fra l’apparente leggerezza, al limite della farsa, incorniciata nella struttura della comédie-ballet in tre atti, e l’allucinata disperazione di un genio teatrale alla fine. È il 1672, annus horribilis per il drammaturgo, che ha perso la compagna di una vita, Madeleine Béjart, il terzo dei figli avuti da Armande, sua chiacchieratissima sposa, vede acutizzarsi la malattia che lo affligge da tempo, ed è stato detronizzato dal ruolo di impresario e organizzatore dei divertimenti del re; il gusto di Luigi XIV, infatti, è mutato, e con esso la politica culturale di Versailles, tesa verso l’opéra francese, al punto che viene concesso il monopolio nel campo della musica a Jean-Baptiste Lully, compositore principe della corte del Re Sole e (ormai) ex collaboratore di fiducia di Molière per la creazione delle musiche dei suoi spettacoli. Nonostante tutto, il 10 febbraio 1673, la Troupe du Roi capeggiata da Molière, mette in scena Il malato immaginario, con musiche, stavolta, di Marc-Antoine Charpentier e, soprattutto, con l’autore che recita nel ruolo del protagonista.
In un clima soffocante, fatto di purghe e di medicine, si dipana la vicenda di Argante, ipocondriaco concentrato sulla sua (cagionevole?) salute, e della sua famiglia, fra mogli manipolatrici e serve scaltre, figlie irrispettose con i loro corteggiatori tenaci, tutti assediati da una pletora di medici armati di enteroclismi.
Una ideale summa dell’esperienza umana ed artistica di Molière, una grande “metafora politica”, come scrive Cesare Garboli, “in cui i rapporti del protagonista con la medicina ripetono i rapporti di qualsiasi honnête homme, vittima e insieme colpevole, con il potere.”
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