Ivanov è la prima delle grandi opere teatrali di Anton Čechov: scritta nel 1887, all’età di 27 anni, racconta l’ultimo anno di vita di un uomo che si trova a fare i conti con la propria incapacità di vivere, l’inadeguatezza verso il mondo che lo circonda e l’irrimediabile perdita di ogni speranza nei confronti della vita.
Essendo una commedia scritta in età giovanile, Ivanov possiede una portata dirompente di emotività e di erotismo che rendono il testo carico di un fascino irresistibile. La sua poetica si esprime a tinte forti e la violenza delle situazioni e dei rapporti esplode con brutalità, fino alla morte.

Il personaggio di Ivanov è da iscriversi in un filone di tanta letteratura russa dell’ottocento (dal Jevgheni Onieghin di Puškin in poi), in cui il protagonista è proprio l’uomo superfluo, come si auto-definisce Ivanov, che non riesce ad applicare le proprie energie alla vita e la cui originalità risiede proprio nella lotta per non soccombere al proprio destino.
Le sue aspirazioni intellettuali, unite al senso d’impotenza, fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi. Anna, sua moglie, per sposarlo ha abbandonato la propria famiglia e la religione ebraica, ma presto si ammala di tubercolosi. Saša, giovane figlia di facoltosi vicini, ama Ivanov, e dopo la morte di Anna tutto è pronto per le nuove nozze. Ivanov però avverte la propria inadeguatezza di fronte a questo amore e all’ultimo momento sfugge al nuovo impegno… Intorno a loro si muove un’umanità disillusa, priva di ideali e senza speranze nel futuro: un microcosmo in cui gli uomini sono condannati all’esistenza, in cui ognuno tenta disperatamente di sopravvivere alla noia interiore e guarda al passato con pietosa indulgenza; un’umanità di figure grottesche che si logorano a vicenda.

Di Ivanov si è detto e scritto moltissimo e si è insistito sull’incapacità del protagonista di gestire i rapporti sociali e sentimentali, sul suo male di vivere e la sua insoddisfazione patologica, in breve si è molto discusso della sua depressione. Tutto ciò credo ci abbia un po’ allontanato dalla comprensione della sua vera natura.
Ivanov trascina tutti nel tunnel nero dell’inattività, della paralisi mentale e spirituale, tutti lottano contro di lui o tentano di guarirlo, fino all’estremo sacrificio. Ivanov è il virus letale della sua società, è il simbolo della malattia che si genera all’interno di quel ristretto gruppo di esseri umani che agiscono nella commedia. Ma Ivanov è al tempo stesso anche la cura del suo mondo, in quanto mette tutti di fronte a se stessi, ai propri limiti, alla propria povertà, dando ad ognuno l’occasione per la salvezza personale. Ogni personaggio si pone in relazione a lui secondo le proprie capacità o la propria propensione; nessuno rimane estraneo a questo confronto.
Ivanov rappresenta la fine di ogni amore, non disillusione o delusione, ma la fine di ogni amore per le leggi umane e divine, per gli uomini, per gli ideali, e quindi è la fine di ogni speranza. Čechov ci esorta a confrontarci con lui costantemente. Instaurare un dialogo con il nostro Ivanov, quello dentro di noi, mettersi in relazione con lui, capire bene chi è, osservarlo, comprendere qual è la nostra attitudine nei suoi riguardi, rappresenta la provocazione che Čechov ci propone.
L’immortalità di questo testo e la sua bruciante contemporaneità sta proprio nella descrizione di una ”umanità alla fine”, una società sull’orlo del baratro, che avverte l’arrivo di un’apocalisse, che di lì a poco spazzerà via tutto il mondo per come lo abbiamo conosciuto fino a quel momento: di lì a 30 anni, infatti, ci sarà la Rivoluzione, e anch’essa sarà causa o effetto (a seconda dei casi) di tante rivoluzioni in Europa. Attraverso la figura dell’uomo inutile, che non riesce a spingere il proprio cuore oltre la paralisi del proprio mondo e la propria volontà oltre l’immobilismo, Ivanov racconta la crisi e il declino di un’intera società e di un’intera epoca.

Filippo Dini