“Sanguinaria assassina” per il governo austriaco, “sfacciata meretrice” per papa Pio IX, “bellezza affamata di verità” per Heine, “prima donna d’Italia” per Cattaneo: Cristina Trivulzio principessa di Belgioioso suscitava tra i suoi contemporanei giudizi estremi, definitivi e inconciliabili. Figlia del Rinascimento e dell’Illuminismo, musa del Romanticismo, intellettuale, brillante, orgogliosa, stravagante, autoritaria, Cristina Trivulzio trovò principalmente nell’arte della seduzione la forza di attraversare da grande protagonista l’epopea del Risorgimento italiano.

Anna Bonaiuto, attrice straordinaria e volto cinematografico della matura Cristina nel film diretto da Mario Martone Noi credevamo, in questo monologo ne incarna tutte le sfumature in un’unica figura di donna contraddittoria, egocentrica ma assolutamente affascinante. Attraverso un flusso di ricordi, di visioni, di emozioni, nostalgie, frustrazioni, in scena emerge prepotentemente l’orgoglio di una primadonna che teme l’oblio come nemico finale. Lo spettacolo consegnerà l’ultimo palcoscenico ad una voce dissonante, aspra, appassionata, a tratti necessaria e illuminante anche per i nostri giorni, restituendo così Cristina di Belgioioso non al suo tempo ma al nostro.

E’ con un grandissimo senso della “messa in scena”, che Cristina interpretò tutti i ruoli possibili nella società della sua epoca, sempre da grande, autentica attrice, con distacco critico, spesso ironico. E come ogni vera protagonista, fu lacerata da pulsioni diverse: frenetica, onnipresente attivista fiduciosa in un futuro più libero, e insieme preda di profonde inquietudini personali, di senso d’inutilità, di sconfitta. Così la definizione di “comedienne” affibbiatole per disprezzo dai suoi denigratori riacquista oggi in lei tutta la sua profondità e il suo splendore. Seduttiva e opportunista con i geni e i potenti, impudente e sarcastica con le massime autorità della Chiesa, dolce e materna coi ragazzini del suo falansterio, dura con le debolezza dei patrioti, enfatica e trascinante nelle adunate popolari, Cristina di Belgioioso sembra aver vissuto da eroina dei più diversi generi letterari, dal feuilleton al romanzo d’avventura, dall’epopea alla tragedia, nascondendo costantemente il suo vero volto dietro innumerevoli maschere.

La belle joyeuse vuol tentare di suggerire che proprio in tutte queste maschere è la sua verità, perché ciascuna è stata vissuta, “incarnata” in modo così estremo, generoso e totale, da divenire parte di un unico volto di donna problematica, contraddittoria, egocentrica, ma assolutamente affascinante.

Gianfranco Fiore