di Reginald Rose traduzione Giovanni Lombardo Radice con Alessandro Gassman e con Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Fabio Bussotti, Paolo Fosso, Nanni Candelabri, Emanuele Salce, Massimo Lello, Emanuele Maria Basso, Giancarlo Ratti, Giacomo Rosselli, Giulio Federico Janni musiche Pivio & Aldo De Scalzi – scene Gianluca Amodio – costumi Helga H. Williams light designer Marco Palmieri – sound designer Hubert Westkemper regia Alessandro Gassman

L’interesse per il lavoro di regia è stato per me un naturale approdo, dopo più di venti anni di teatro militante in qualità di attore. Man mano che le mie sicurezze interpretative andavano consolidandosi, sentivo emergere e gradualmente rafforzarsi il desiderio di affrontare un progetto interamente mio. Dopo due stagioni di successi con la mia prima regia, con la quale ho affrontato un autore ed un testo estremamente complessi quali sono Bernhard e la sua Forza dell’abitudine, ho inteso proseguire la mia ricerca affrontando un testo socialmente coinvolgente e profondamente ideologico, nonostante il suo impianto realistico, come è La parola ai giurati di Reginald Rose. Così come Bernhard mi aveva ispirato uno spettacolo ricco di aperture oniriche di grottesca comicità, Rose mi permette invece di entrare nelle varie e sfaccettate tipologie umane e caratteriali colte in una situazione claustrofobica nella quale emergono gli aspetti comportamentali più contraddittori. Ne La parola ai giurati, l’impianto drammaturgico si basa sullo svolgimento di un dramma giudiziario. Ma ciò che mi ha ispirato fin dalla prima lettura è la possibilità di portare alla luce i pregiudizi e le false certezze che caratterizzano il comportamento dei giurati e che affiorano nel momento in cui devono assolvere il compito più difficile per un uomo: quello di decidere della vita di un altro uomo. La vicenda è incentrata su due capisaldi del sistema giuridico anglosassone: la presunzione di innocenza e la dimostrabilità della sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. In un’epoca in cui il mondo è afflitto da ideologie contrastanti che si nutrono di assolutismo e che spesso scadono a pregiudizi, il “ragionevole dubbio” è una preziosa arma di difesa. Alessandro Gassman New York. 1950. È il 15 agosto e una giuria popolare composta da dodici uomini di diversa estrazione sociale, età e origini sono chiusi in camera di consiglio per decidere del destino di un ragazzo ispano-americano accusato di parricidio. Devono raggiungere l’unanimità per mandarlo a morte e tutti sembrano convinti della sua colpevolezza. Tutti ad eccezione di uno che con meticolosità e intelligenza costringe gli altri giurati a ricostruire nel dettaglio i passaggi salienti del processo e, grazie a una serie di brillanti deduzioni, ne incrina le certezze, insinuando in loro il principio secondo il quale una condanna deve implicare la certezza del crimine al di là di ogni ragionevole dubbio. Fra violenti contrasti, dubbi, ripensamenti ed estenuanti discussioni, l’unanimità sarà raggiunta e l’imputato verrà dichiarato non colpevole.

produzione Teatro Stabile d’Abruzzo & Società per Attori Teatro Due, 24 e 25 febbraio 2009 ore 21.00