L’Istruttoria è un appuntamento rituale con la memoria che Fondazione Teatro Due ripropone ogni anno dal 1984, un invito a non dimenticare il dramma dei campi di sterminio. Un giudice, un difensore, un procuratore, diciotto accusati e nove testimoni anonimi sono i personaggi di quest’opera in undici canti che, come un inferno laico e contemporaneo, trascende la rappresentazione del processo e acquista la liricità di una tragedia greca. Una sorta di viaggio agli inferi, non solo nel tempo ma anche nello spazio, in cui i personaggi, bloccati tra forma e vita, tentano con l’azione di dipingere “l’istante eterno” della storia e del ricordo.

Atto di denuncia contro i criminali nazisti, L’Istruttoria venne scritto da Peter Weiss dopo aver assistito allo storico processo che si svolse a Francoforte dal 1963 al 1965 contro un gruppo di SS e di funzionari del lager di Auschwitz. Le 183 giornate del processo in cui vennero ascoltati 409 testimoni, 248 dei quali scelti tra i 1500 sopravvissuti, rappresentarono il primo tentativo da parte della Repubblica Federale Tedesca di far fronte alla questione delle responsabilità individuali, dirette, imputabili ad esecutori di ogni grado attivi nei recinti del lager di Auschwitz.

 

L’Istruttoria di Peter Weiss, che venne alla luce in più teatri tedeschi già nel 1965, ha avuto e ha tutt’ora storicamente una realizzazione di culto che dal 1984 in poi si deve agli attori dell’ex Compagnia del Collettivo di Parma, ora militanti nella Fondazione Teatro Due con regia immutabile e perfetta di Gigi Dall’Aglio. Quest’opera shoccante e ammutolente sull’Olocausto, proprio in un’epoca come l’attuale in cui s’è arrivati a discutere su una ridefinizione di quella barbarie, assume un’importanza simbolica di memoria, di monito e di attestazione irrefutabile della più alta ingiustizia umana del ‘900 e per spettatori vecchi e nuovi è assolutamente da non perdere. Come sempre, ritmati dalla scrittura di Weiss, e dalla regia strenua e toccante di Dall’Aglio, sono tre i tempi e i moduli della messinscena: c’è uno svelamento degli “interpreti” che si truccano, per entrare nei ruoli in camerino, poi c’è una sorta di compresenza fra personaggi e spettatori, e infine c’è il tragitto delle vittime nel calvario delle torture davanti a una parete bassa e nera utilizzata anche come lavagna per scritte e diagrammi. Con musiche di Alessandro Nidi. E con uno strazio laico senza fine.

 

Rodolfo di Giammarco, La Repubblica