I meccanismi migliori sono quelli che nascondono il loro funzionamento. E quando si parla di meccanismi, George Feydeau è un maestro. Maestro di affabulazione, di intreccio, di satira. E, come nella tradizione delle esposizioni universali, egli esponeva le sue macchine, i suoi testi esplosivi, all’occhio degli spettatori. Non sempre, è vero, il pubblico è stato in grado di cogliere la finezza di costruzione che i testi di questo autore indefesso sfoggiavano. Forse è proprio questa la maledizione dei grandi scrittori: avere fortune alterne. Da una parte la fama immediata, con impresari che facevano la fila sotto casa sua per comprare i suoi testi e tradurli in altre lingue, mentre lui se ne stava chiuso in camera a dedicarsi al suo vizio preferito, scriverne degli altri. Dall’altra una borghesia che male vide il suo occhio d’aquila, la sua penna come bisturi che si infilava tra gli strati epidermici un paese all’apice del suo sviluppo e ne coglieva tutti i nei e le imperfezioni. Insomma una vita da scrittore, come quella del padre, in cui luci ed ombre si alternavano senza mai abbandonarlo. Ma soprattutto senza togliergli mai la capacità di guardare e analizzare in modo lucido l’umanità che lo circondava, a casa o nei caffè alla moda, in una Parigi che era il centro del mondo. Ma Feydeau non si limitava a raccogliere le prove. Al contrario, si dedicava anima e corpo a rappresentare la vita sul palcoscenico, una vita fatta di sotterfugi e tradimenti, di esilaranti fughe e di bugie sfacciate. E tutti gli elementi che decideva di rappresentare diventavano ingranaggi di un meccanismo che avrebbe fatto invidia all’inventore del più preciso orologio. Perché c’è qualcosa di squisitamente tecnico in questo incredibile drammaturgo: il tempo comico. Seguendo le istruzioni che scriveva, e rappresentando quel pazzo mondo dei salotti e dei bistrot, la risata scattava quasi a comando. Perché al culmine del positivismo, nell’epoca in cui la tecnologia cominciava a prendere il sopravvento, anche la scrittura doveva essere perfetta. Anche la satira che dietro di essa si nascondeva. Ed è per questo che Feydeau è sopravvissuto a se stesso, dopo essersi fatto seppellire insieme al suo telefono. Ha continuato a vivere attraverso i suoi testi, che sono la macchina teatrale perfetta.

Francesco Bianchi