CONFERENZA DI PRESENTAZIONE 

Teatro Due, martedì 8 aprile ore 18.30

incontro con Mina Welby e Emanuele Vezzoli 

Ospite speciale per raccontare questo progetto teatrale, martedì 8 aprile alle ore 18.30 a Teatro Due sarà Mina Welby, che fu compagna di Piergiorgio. Dopo la morte del marito, Mina Welby ha raccolto il suo testimone e continua con la sua testimonianza a stimolare la riflessione sui temi dell’autodeterminazione della persona, sulle scelte di vita e fine vita, nonché sull’importanza dell’assistenza ai malati, sulla necessita di offrire una vita indipendente e possibilità di lavoro ai disabili.

OCEAN TERMINAL

Teatro Due, 11 aprile, ore 21.00

segue dibattito con Oliviero Beha, Maurizio Mori, Danila Valenti

conduce Monica Soldano

 

“Non esiste un’arte privata, un artista ha l’obbligo morale di incidere sulla realtà”. Ne era convinto Piergiorgio Welby, intellettuale e attivista per i diritti dell’uomo, impegnato per il rifiuto dell’accanimento terapeutico a partire dalla sua condizione di malato, prigioniero di un corpo attaccato alle macchine che lo hanno mantenuto in vita artificialmente fino alla fine. E’ dalla sua vita, dalla sua lotta e dalla sua arte che prende le mosse lo spettacolo Ocean Terminal, interpretato e diretto da Emanuele Vezzoli (già interprete a Teatro Due nei mesi di gennaio e febbraio di Gioventù senza Dio), tratto dal romanzo pubblicato postumo di Piergiorgio Welby con la cura e la collaborazione all’adattamento drammaturgico di Francesco Lioce.  Lo spettacolo si svolge in concomitanza con le Giornate della Laicità, che si terranno 11, 12 e 13 aprile a Reggio Emilia (http://giornatedellalaicita.com).

Ocean terminal è un progetto teatrale che solleva temi di grande profondità attraverso un materiale letterario e scenico intimo e toccante: dall’infanzia cattolica alla scoperta della malattia, fino all’immaginario hippy e alla tossicodipendenza, passando attraverso gli squarci di una Roma vissuta nelle piazze o nel chiuso di una stanza, lo spettacolo riavvolge il nastro della vita di Welby, adottando un linguaggio babelico che colpisce per originalità e potenza, in un susseguirsi di toni lucidi e febbrili, poetici e volgari.

Dalle bellissime pagine, di rara intensità, di scavo interiore, sintesi letteraria dell’esistenza di questo importante intellettuale, pittore e fotografo, è nata l’idea e l’esigenza di far conoscere, attraverso il palcoscenico, chi fosse: un condannato a vita in cui forte è il conflitto tra l’abbandono della speranza e l’inno alla vita, in un corpo che diviene ogni giorno di più un abito sgualcito e che, come in Lasciatemi morire, esprime l’insofferenza di colui che assiste da spettatore a un dibattito di cui è, invece, involontario protagonista.

Venerdì 11 aprile al termine dello  spettacolo il pubblico avrà poi l’opportunità di approfondire la riflessione e condividerla con personaggi autorevoli del dibattito pubblico sulla bioetica.  Monica Soldano, direttrice di 100 Passi Network, coordinerà il dibattito tra il pubblico e Oliviero Beha, giornalista, scrittore, saggista, conduttore televisivo e radiofonico e poeta italiano, Maurizio Mori, Professore ordinario di Bioetica alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, che nel 1993 ha fondato “Bioetica”, rivista interdisciplinare di cui è tuttora direttore e che co-dirige la collana di “Bioetica ed Etica Applicata” per le edizioni Le Lettere di Firenze, e Danila Valenti, coordinatrice rete cure palliative Ausl di Bologna, Società Italiana cure palliative.  Un’occasione importante per portare avanti il dibattito pubblico su temi scottanti della nostra attualità politica, scientifica ed etica, che coinvolgono la collettività chiamata a fare scelte comuni ma anche i singoli quando direttamente interessati dal dolore e da gravi scelte individuali. Come ha dichiarato Giorgio Taffon, direttore artistico del progetto: “Ocean Terminal costituisce (…) un ritorno al teatro politico, al teatro della polis grazie alla struttura verbale che nella sua vivezza, credibilità, efficacia e tensione narrativa, dovuta alla profondità lancinante dei temi, costituiscono una base di partenza decisiva.”

“Non esiste un’arte privata, un artista ha l’obbligo morale di incidere sulla realtà”. Ne era convinto Piergiorgio Welby, intellettuale e attivista per i diritti dell’uomo, impegnato per il rifiuto dell’accanimento terapeutico a partire dalla sua condizione di malato, prigioniero di un corpo attaccato alle macchine che lo hanno mantenuto in vita artificialmente fino al suo ultimo giorno.

“La mia esigenza, come attore e regista, è quella di rendermi il tramite attraverso cui trasferire la ricchezza del tesoro Piergiorgio Welby agli altri uomini, raccogliendo la promessa fatta a Mina Welby e in accordo con quanto egli stesso afferma: non esiste un’arte privata, un artista ha l’obbligo morale di incidere sulla realtà.

La voce di Welby potrebbe rivivere incarnata sulla scena per pronunciare le ragioni prime ed ultime dell’esistenza umana, per invocare l’empatia degli spettatori, per chiamare la comunità civile alla discussione sugli interrogativi ultimativi e radicalmente umani, per divenire interpreti ed attori del nostro stesso destino”. – Emanuele Vezzoli

“Emanuele Vezzoli, direttore e interprete dello spettacolo, ha vinto la sfida. Solo al centro della scena per tutta la durata della rappresentazione (ma con l’aiuto decisivo di Gabriella Borni che ha curato i movimenti scenici), Vezzoli fa la cosa giusta: un impasto alto di linguaggio e corpo. Esalta gli aculei del parlato anche più scurrile e li miscela con una presenza fisica discreta ma potente. Il corpo che occupa la scena deve essere potente per esprimere la lotta di Welby, quella stessa lotta che, nella vita reale, poteva essere solamente linguistica. In questo sforzo si coglie la necessità del teatro. Un materiale drammaturgico così ricco e composito – fatto di un vissuto doloroso ed etico, di impegno profondo su temi lancinanti, di vivezza espressiva, di una carnalità dolente e sfacciata – chiedeva nella rappresentazione la libertà di quel corpo, proprio come la chiedeva, nella vita reale, il protagonista. Ritorna in questo modo un teatro impegnato, ma fuori da ogni didascalia. La libertà immaginativa, fatta di giochi scenici, inventive associazioni di idee e di parole, tensione muscolare e sudore di nervi, in qualche modo diventa speculare alla vicenda dell’emersione del corpo dei cittadini sulla scena della politica. Se in questi anni, infatti, la politica si è sempre più ridotta a luogo vuoto di forme e riti inconcludenti, i diritti dei cittadini sono viceversa emersi come ‘corpo’ scandaloso sulla scena delle politiche pubbliche: basti pensare, in particolare, ai diritti dei disabili e dei malati cronici e terminali. Il ‘corpo’ dei cittadini – la concretezza dei loro diritti – sempre più spesso rappresenta un interrogativo rivolto alla astrattezza delle forme giuridiche e alla siderale assenza del ceto politico. La vicenda di Welby, il suo romanzo, questa traduzione teatrale stanno lì a dimostrarlo. Il lavoro di Emanuele Vezzoli sul testo di Ocean terminal sembra compiuto proprio per questo: per aver fatto del proprio corpo il testo, allo stesso tempo, di una riuscita opera teatrale e di un profondo messaggio civile”.
 –  Vittorio Ferla, L’inkiesta.it