SILENZIO
O UN’ASSORDANTE RISPOSTA

Una mezzaluna di luce che va e viene da una possibile lampadina in alto, come in una eterna sera che affatica gli occhi ma serve allo scopo.

Un vecchio stanco, al contempo malandato e fiero, fissa un cumulo di libri buttati alla rinfusa in terra. Con una strana cura li sistema, li rigira tra le mani, sembra parlare alle pagine ingiallite. Come se volesse qualcosa da loro, chiedere consiglio, ricercare un ordine. Sembra che con quei tomi polverosi voglia ricostruire qualcosa. Una città, una torre, o forse un muro.

Un muro serve quando siamo invasi. Anche se lo siamo sottilmente, senza dolore. Anzi la gentilezza è, in questi casi, l’arma più tagliente, la più subdola, quella contro cui si hanno meno difese. “Abbraccio il mio nemico, ma è per strangolarlo”, sembra si dicessero tra loro i soldati tedeschi che occupavano la Francia, nel 1940. E allora forse è un muro quello che quest’uomo sta costruendo contro lo straniero che senza chiedere ma senza far forza si è insediato in casa sua. Sua e di sua nipote, che si muove come la lancetta dei secondi su un ideale quadrante di cui lo zio segna le lente ore.

E come un oggetto estraneo che si incastra negli ingranaggi, dietro la porta compare l’ufficiale tedesco. Anche il nome di quest’uomo è un po’ sinistro. Werner von Ebrennac, un po’ tedesco, un po’ di lignaggio francese.  È arrivato e le lancette hanno smesso di scorrere. Un alieno, sicuramente: un ospite sgradito che però cerca con tutto se stesso di penetrare il velo di vuoto che i due francesi gli parano davanti; ad ogni sua parola abbassano lo sguardo, ad ogni domanda rispondono con il più fragoroso dei silenzi. Perché? Perché un nazista non smette di essere un nazista appena svestita la divisa, e perché la Francia non smette di essere occupata soltanto rispettando le buone maniere.

Che cos’è Il silenzio del mare? Sicuramente è l’assordante risposta di un popolo che non ha modo di gridare né di reagire attivamente tanto all’occupazione nazista quanto alla ben più bruciante e umiliante capitolazione di un governo vigliacco e immemore. È però anche il riconoscimento di una impossibilità: quella di coniugare ciò che si è con ciò che si fa, o meglio di dividere l’ufficiale dal gentiluomo. Werner von Ebrennac è un essere umano, e forse lui per primo vuole convincere i suoi ospiti di questo; ciò non toglie che per chi ha costretto se stesso al silenzio e alla negazione di ogni riconoscimento, egli è e resta non solo il nemico, ma il contrario dell’umanità. E ciò che costituisce una minaccia, se si è depredati della casa, dell’intimità, e della possibilità di essere fedeli alla propria cultura, allora ogni atto è legittimo, anche quello di una fragorosa indifferenza.

Di qui la domanda che sottende ogni sguardo verso quella pagina orribile della Storia che si chiama nazismo: si può veramente credere che l’orrore esplose di colpo? Si può veramente accettare che lo scopo finale dell’assertività nazista non fosse manifesto già da subito? Dobbiamo intenerirci di fronte a chi si difende con “stavamo soltanto eseguendo degli ordini?

La straordinarietà di un libro come Il silenzio del mare, nonché della storia che esso contiene, non si limita al fatto che è stato un vero e proprio strumento di Resistenza. Non solo cioè al fatto che questa prima pubblicazione delle Editions de Minuit, edizioni “di mezzanotte” stampate in clandestinità, venne prelevata e paracadutata sull’Inghilterra per esplicito ordine del Generale De Gaulle per risollevare il morale degli inglesi e incitarli a resistere contro l’avanzata delle svastiche. Non si conchiude neanche nella sua provenienza da casi personali di Vercors, al secolo Jean Bruller, che si era visto arrossire di vergogna nel dover salutare un gentile ufficiale nazista che occupava la sua casa, quando lo incontrava per strada ed era in compagnia di altri orgogliosi francesi.

O nel fatto che il libro sia dedicato alla memoria di Saint-Pol Roux, “Poeta assassinato”, che era morto di dispiacere dopo aver subìto un’aggressione in casa ad opera di un ufficiale tedesco ubriaco e aver scoperto che il suo castello era stato ridotto in cenere insieme ad un baule di inediti.

Il silenzio del mare è una storia di onore, di perseveranza, e soprattutto una profonda riflessione sulla vita e sulla sua sacralità. È una dichiarazione di Resistenza passiva, non violenta, una resistenza che rinuncia alla forza bruta (valore cardine del credo nazionalsocialista, e banda nera nella bandiera del Reich) in favore di una gentile quanto inflessibile negazione di se stessi al nemico. Il silenzio del mare è una lezione da imparare e da tenere a mente tutte le volte che una forza cieca minaccia di disfare ciò che tanto faticosamente è stato conquistato, tutte le volte che una falsa gentilezza vuole venderci una pace che puzza di zolfo, tutte le volte che vecchie o nuove forme di nazismo si stagliano sulla porta della nostra casa. Come quelle che l’Europa vede oggi con troppo poco sospetto e che probabilmente si troverà ad affrontare con sempre maggiore urgenza per salvare la sua essenza e la sua identità culturale.

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