con Paola De Crescenzo, Elia Schilton, Franca Penone, Giancarlo Ilari, Fausto Cabra, Marco Toloni, Nanni Tormen, Maria Grazia Solano, Valentina Bartolo, Francesco Rossini Enzo Curcurù, Lino Guanciale, Alberto Onofrietti musiche eseguite in scena da 4 musicisti scene Tiziano Santi costumi Vera Marzot musche Alessandro Nidi luci Claudio Coloretti aiuto regia Karina Arutyunyan direzione Walter Le Moli

Primo passo del nuovo progetto di nucleo stabile di attori, l’Antigone di Sofocle si avvale della nuova traduzione del filosofo Massimo Cacciari e della direzione di Walter Le Moli. Proprio la prospettiva di un approccio filosofico fa da filo conduttore ad un allestimento di grande nitore, che intende ritrovare l’afflato politico di una tragedia che è archetipo sociale, fondamento di una democrazia dialettica e discorsiva, in cui la partecipazione del cittadino alla vita della polis era fattivamente attiva. In questa prospettiva, lo scontro ideologico e dialogico tra Antigone e Creonte ritrova la forza propulsiva originaria, tanto da suggerire spunti di riflessione di grande attualità, capaci di superare il dato eminentemente teatrale: non personaggi visti in prospettiva psicologica, ma vere e proprie funzioni tragiche mosse dal Coro che assume un grande importanza in quanto elemento che rappresenta ed incarna la Polis. Il Coro, visibilmente e materialmente superiore rispetto alle dinamiche di scontro dei protagonisti, è dunque il vero motore, quasi un simbolo di ciò che resta, ovvero la sopravvivenza della città allo scontro di due concrezioni emblematiche della hybris. Come ha scritto, infatti, Ekkehart Krippendorff: «L’Antigone di Sofocle non è affatto un’univoca condanna dell’ostinazione del potere e della hybris del re Creonte. Antigone stessa va incontro alla rovina a causa della sua inflessibilità e della durezza dei principi che ispirano le sue azioni. Tutto ciò offriva materiale di riflessione, elementi di argomentazione per l’elaborazione di un proprio giudizio da parte del pubblico…». Uno scontro che procede hegelianamente, tra tesi e antitesi, che lascia agli spettatori il senso ultimo della sintesi. La Polis, dunque, prova se stessa e simbolicamente mette in corto circuito gli elementi di crisi, facendoli collassare, salvo poi reagire per garantire la propria sopravvivenza: da un lato facendo sparire Antigone nelle proprie viscere, fino all’oblio, dall’altro rimuovendo semplicemente Creonte dal ruolo di potere. È dunque la dinamica inesorabile ed eterna della Città, che garantisce se stessa, il possibile nucleo di una tragedia come Antigone? Nella lettura del gruppo stabile di attori, Antigone diventa dunque lo spunto per una visione possibile di una democrazia oggi continuamente messa in discussione o imposta con forza?

produzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Fondazione Teatro Due, Teatro di Roma