Il giorno 16 dicembre 2018 alle ore 20.00 gli allievi del Corso di alta formazione CASA DEGLI ARTISTI 2018 sono andati in scena con lo spettacolo
AUGUSTIN – Pantomima in tre quadri da Hermann Bahr
con
Giorgia Arena
Valentina Bonci
Roberta Bonora
Sofia Brocani
Giorgio Castagna
Daniele Cavone Felicioni
Benedetta Corà
Alessio Del Mastro
Beatrice Festi
Elisa Franchi
Sabrina Fraternali
Riccardo Livermore
Marco Lo Chiatto
Alice Melloni
Ilaria Mustardino
Mariagrazia Pompei
Agostino Rocca
Chiara Sarcona
Maria Sessa
Marouane Zotti
assistente alla drammaturgia
Alessia Matrisciano
assistente alla drammaturgia musicale
Davide Tortorelli
assistenti alla regia
Antonio Carnevale
Chiara Girlando
disegno luci
Claudio Coloretti
costumi
Elisabetta Zinelli
assistenti ai costumi
Alessia Matrisciano
Ilaria Mustardino
trucco
Ippolita Signorelli
direzione Monique Arnaud e Orazio Sciortino
Augustin è la prima rappresentazione assoluta della pantomima Der liebe Augustin del viennese Hermann Bahr, scritta nel 1902.
Augustin
Augustin, il personaggio che dà il titolo all’opera, è una figura della tradizione popolare austriaca: un allegro suonatore di zampogna che nel diciassettesimo secolo girava per le osterie allietando il popolo con la sua musica. La leggenda racconta che nel 1679, durante la peste di Vienna, Augustin si addormentò ubriaco per le strade e venne scambiato per morto; raccolto dai monatti e gettato in una fossa comune, si salvò grazie alla zampogna che suonò per richiamare i soccorsi. L’Augustin di Hermann Bahr è invece un giovane musicista dal corpo emaciato e dall’ idealismo incrollabile, il quale sarà messo a dura prova dall’incontro con donne avide, una borghesia ottusa e un’umanità corrotta, e infine con il Diavolo stesso, incarnazione del potere oscuro del denaro.
Il “maledetto denaro”, come Bahr lo definisce, vera peste sociale che deturpa e uccide un’intera civiltà, è infatti il problema centrale e anche il più contemporaneo espresso dall’opera.
Quello che con Augustin mettiamo in scena è il contrasto tra un sentimento autentico come il desiderio d’amore e quella che sembra la via più facile per ottenerlo, ovvero il potere economico, il quale permetterebbe di comprare, come fosse merce, anche l’approvazione degli uomini. Il nostro protagonista, trasformato per sortilegio da povero a ricco, entrerà infatti nel vero e proprio inferno patinato e luccicante che è la società dell’apparenza. Ma il nostro Augustin è un personaggio complesso, che da potenziale eroe romantico si rivelerà, nel corso dello spettacolo, ben altro da quel che ci aspettiamo.
Augustin dà rilievo, più che ai singoli personaggi, alla collettività. I venti attori che abitano il palco sono i veri creatori delle situazioni drammatiche, nonché gli agenti modificatori dello spazio. Lo spettacolo è infatti un caleidoscopio di ambienti, riprodotti scenograficamente attraverso pochi elementi posizionati a vista dagli attori che, attraverso cambi di atteggiamento e di costume, danno vita a un “coro” sempre diverso. I movimenti scenici oscillano continuamente tra la gestualità tipica della pantomima per come la conosciamo, per il tramite del cinema muto, e una vera e propria coreografia costruita sulla musica.
Augustin non è un’inedito soltanto dal punto di vista del testo: è anche una rara operazione di riscoperta della pantomima. Tale genere, che vive esclusivamente di musica e di movimenti del corpo e mantiene una solida struttura narrativa senza sfociare nella performance o nella danza, è in Italia poco conosciuto e rappresentato ma può dare fertili spunti dal punto di vista dell’immediatezza comunicativa.
Hermann Bahr
Hermann Bahr fu, prima che uno scrittore, un abile saggista e organizzatore culturale: radunò intorno a sé scrittori e intellettuali in un gruppo chiamato Jungwien, la cui battaglia principale fu la critica al naturalismo. Del gruppo fecero parte, tra gli altri, Hoffmansthal e Schnitzler. Bahr partecipò a tutte le maggiori tendenze artistiche emerse tra ‘800 e ‘900 tra cui espressionismo e neoromanticismo e fu instancabile osservatore della società, interessato ai problemi della libertà individuale e sessuale e alla nuova scienza della psicologia.
“Mi è piaciuto molto ma… non risponde a tal punto alle mie esigenze da spingermi alla composizione”, scrisse Richard Strauss a Hermann Bahr in una lettera del 1902, a proposito del Caro Augustin. Da allora, questa pantomima non è mai stata messa in musica.
La drammaturgia musicale dello spettacolo è una partitura completamente nuova, rispettosa delle indicazioni di Hermann Bahr, costituita dall’assemblaggio di brani di Alfred Schnittke, compositore russo da molti considerato l’erede spirituale di Shostakovic e grande creatore di musiche di scena per il teatro e il cinema. Da questo repertorio provengono i brani selezionati per lo spettacolo: più nello specifico dalle suites per i film Agony, Clowns and Kids, Story of an Unknown Actor, la suite per il teatro Gogol Suite e la Suite in the Old Style.
La direzione registica e quella musicale sono andate di pari passo nel corso del lavoro, con l’obiettivo di ricercare un’unione nuova tra il gesto e musica.
Note di regia
Dance first, think later
La Jungwien vuole il colore austriaco e l’odore del presente.
Ci affidiamo ai sensi, a quello che ci dicono.
Hermann Bahr
Augustin rivisitato da Hermann Bahr non è più l’allegro e maturo beone della tradizione, ma un giovane emaciato, circondato dai bambini, e invece schernito e perfino maltrattato dagli adulti quando viene sopraffatto dalla malinconia. Come riassumerà in un suo articolo, al «colore austriaco» Bahr vuole aggiungere «l’odore del presente», e cacciar via il vecchiume scontato per lasciar posto alla «mistica dei nervi». Alle esigenze di questo esile quadro programmatico, forse unico filo comune a tutte le componenti della Jungwien, risponde la scelta del genere della pantomima: senza la mediazione del discorso razionalizzante, lo spettatore, ancor più dell’attore deve «affidarsi ai sensi, e solo a loro», accettare di perdersi nel labirinto.
La sparizione del visibile, della materia, non è che la prima tappa del progetto, la condizione per tentare una sfida più complessa: rendere presente l’invisibile, quello che sfugge al discorso articolato, ma accetta interpretazioni diverse in ragione della sua ambiguità. Su questo versante del lavoro la musica ci fa da battistrada, protegge attori e spettatori dalla tentazione prettamente narrativa per piegarci alle istanze del ritmo, del gesto, della durata, ci rende consapevoli di vivere, perfino nel nostro quotidiano, su piani diversi ma contemporanei, all’interno di una dimensione più vasta.
«Abbiamo in noi tanti individui quanti sono i mondi diversi che abbiamo attraversato» scriveva l’autore, anticipando le indagini della psicanalisi. Come il teatro di figure e il teatro danza, la pantomima rimane arte teatrale, in quanto non rinuncia del tutto alla dimensione narrativa anche se non fa uso del linguaggio parlato. In tal senso, consente di superare le barriere linguistiche e di creare codici fisici meno culturalmente connotati.
Proprio per l’importanza della dimensione musicale, la messa in scena ha costretto ogni attore a uno sforzo di recettività collettiva nei confronti di linguaggi e approcci all’inizio plurali. Inoltre ha posto l’accento su ciò che ad un primo sguardo risulta diverso e distante da una concezione «occidentale» o «contemporanea» del teatro : l’assenza di verosimiglianza. Scarnificato dall’elemento della parola tanto quanto da quello della realtà, l’atto teatrale (inteso sia come il «fare teatro» che come la vera e propria azione scenica) diventa mezzo unico e significante al servizio del racconto, del processo, della rappresentazione.
Monique Arnaud