Scritta nel 1903 e ambientata in una Grecia anti-classica, l'Elektra di Hofmannsthal è considerata uno dei capolavori del decadentismo, un testo poetico che si colloca tra poesia e drammaturgia, lontano dall'epica sofoclea e arricchito da una musicalità imprescindibile (Richard Strauss se ne servì come libretto per la sua opera omonima).
Fortemente influenzato dalle scoperte sull'inconscio, Hofmannsthal utilizza una lingua molto vicina a quella che Freud dispiegava nell'interpretazione dei sogni e l'incisione psicologica dei personaggi si staglia su sfondi, paesaggi e tmosfere fortemente onirici.
La rottura con la tradizione classica avviene per Hofmannsthal, oltre che attraverso il linguaggio, soprattutto per mezzo di una Elektra-Amleto che come lui è intenta più a ragionare che a muoversi e come lui è corrosa dal dubbio se essere o non essere. Vuole uccidere ma non riesce a farlo, l'azione le è negata e può solo immaginare il matricidio. Elektra così non è più solo l'eroina sofoclea, ma è l'uomo contemporaneo, un essere impossibilitato ad agire, chiuso in una prigione-manicomio.
La'mbientazione voluta da Rifici riprende tali considerazioni e pone la vicenda in un palazzo distorto, con personaggi in abiti manicomiali che vivono nell'incubo di Elektra, o incubi essi stessi di chi li guarda.
E' Elisabetta Pozzi a dare vita alla tormentata eroina da lei già incontrata in modo trasversale nel ruolo di Lavinia, che le valse il Premio Ubu nel 1997 nello spettacolo Il lutto si addice a Elettra di Eugene O'Neill, regia di Luca Ronconi.