Oggi pomeriggio alle 17.00 a Teatro Due, Vincenza Pellegrino, sociologa dell’Università di Parma e Giulia Sagliocco, psicoterapeuta, si confronteranno in un incontro dal titolo HIKIKOMORI E NEET, anticipando le tematiche che saranno poi sviluppate scenicamente dallo spettacolo, in prima nazionale, prodotto da Teatro Due, Hikikomori, che debutterà il prossimo 18 novembre (fino al 2 dicembre).
Hikikomori – ひきこもり/引き篭り letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”: è un termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso arrivando a livelli estremi di isolamento e confinamento. Il particolare contesto familiare giapponese, in cui la figura paterna è spesso assente e quella materna eccessivamente protettiva, la grande pressione della società verso l’autorealizzazione e la competizione, fin dai primi anni di età, sono solo alcuni fattori sociali che hanno prodotto lo svilupparsi di tale fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, poi diffusosi negli anni 2000 anche negli Stati Uniti e in Europa. E’ significativo che lo Zingarelli nel 2013 abbia incluso tra i neologismi il termine giapponese.
Gli Hikikomori sono dei veri “inghiottiti dalla rete”, poiché spesso nella loro auto-reclusione, l’unico contatto con il mondo rimane quello virtuale, che passa per il web: così la loro seconda esistenza, tra chat, social newtork e giochi di ruolo online diventa prioritaria rispetto a quella reale. “La mancanza di contatto sociale e la prolungata solitudine determinano nei ragazzi una perdita delle competenze sociali e comunicative”, spiega Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ di Roma, tra i primi a interessarsi del fenomeno della dipendenza dal web nei giovani e dei tanti rischi che possono annidarsi in una frequentazione esclusiva del mondo digitale. Gli “auto-reclusi in camera” italiani sono sempre di più. Antonio Piotti, psicoterapeuta dell’“Istituto di analisi dei codici affettivi Il Minotauro” di Milano, intervistato da La Stampa nel marzo 2009, ha raccontato di occuparsi già da qualche anno del fenomeno, considerando che il rapporto del figlio maschio con la madre fosse la costante che rendeva più simile la nostra società a quella giapponese. L’Hikikomori infatti di solito è un primogenito maschio, spesso figlio unico su cui la famiglia, con generalmente entrambi i genitori laureati, pone molte attese. Il ragazzo s’imprigiona in camera perché solo nel mondo on line può gestire un’esistenza che non lo faccia sentire misero come nella vita reale. Secondo la Società Italiana di Psichiatria sarebbero 3 milioni gli italiani colpiti da un disturbo psicologico che li costringe a isolarsi dal mondo nello stile degli Hikikomori giapponesi. L’incidenza del disturbo colpirebbe dal 3 all’11% della popolazione, con una prevalenza per i maschi dai 15 ai 40 anni, resi dipendenti dalla frequentazione compulsiva dei casinò online e i siti pornografici.
NEET è l’acronimo inglese di “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, utilizzato in economia e in sociologia del lavoro per indicare individui che non sono impegnati nel ricevere un’istruzione o una formazione, non hanno un impiego né lo cercano, e non sono impegnati in altre attività simili. È stato usato per la prima volta nel luglio 1999 in un report della Social Exclusion Unit del governo del Regno Unito, come termine di classificazione per una fascia di popolazione che in Europa è sempre più vasta. In seguito, l’utilizzo del termine si è diffuso in altri contesti nazionali, a volte con lievi modifiche della fascia di riferimento. In Italia, l’utilizzo di neet come indicatore statistico, si riferisce, in particolare, alla fascia d’età compresa tra i 15 e i 29 anni. Generalmente, il fenomeno interessa la fascia di età compresa fra i 16 (anche se in alcuni paesi la scuola dell’obbligo non termina necessariamente a 16 anni) e i 35 anni, potendosi addirittura estendere fino ai 65 anni (persone con tali caratteristiche, in un’età così avanzata, vengono anche definite “madao”, dal giapponese まるでダメなオッさん (MAru de DAmena Ossan), ossia “vecchio completamente inutile”).
L’attenzione al fenomeno ha avuto origine nel Regno Unito e si sta diffondendo rapidamente in altri paesi del mondo, come Giappone, Cina, Corea del Sud e Italia. Secondo l’Istat, in Italia, nel 2009, i Neet nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni erano circa 2 milioni (il 21,2 per cento). Tra i paesi OCSE, secondo dati disponibili nel 2012, il paese con la peggiore performance è il Messico. Al secondo posto c’è proprio l’Italia, con una percentuale di quasi il 20%. Il fenomeno, in Italia, pare acuirsi in particolare nella fascia 25-30 anni, in cui i Neet rappresentano il 28,8% della popolazione totale, secondo quanto certificato dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Una percentuale più bassa si registra in Italia tra i 15 e i 29 anni, con una percentuale del 22,1% nell’ambito alla stessa fascia d’età, corrispondente a un totale di 2,1 milioni di neet di età 15-29 (dati riferiti all’anno 2011).