IL GRANDE VUOTO
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
SPAZIO GRANDE
13 e 14 dicembre
durata 90 minuti
con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli
e Mona Abokhatwa per la prima volta in scena
progettazione e realizzazione scene Paola Villani
luci Raffaella Vitiello
musiche originali Raffaella Vitiello
suono Hubert Westkemper
costumi Anna Coluccia
video Lorenzo Letizia
regia Fabiana Iacozzilli
drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli
dramaturg Linda Dalisi
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival
Il grande vuoto indaga l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto, affidando alla tragedia forse più cupa del teatro shakespeariano Re Lear, il compito di trasformare il dolore attraverso il gioco teatrale. Questo lento dissolversi è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre, una ex attrice, colpita da una malattia neurodegenerativa alla quale rimane solo il ricordo del suo cavallo di battaglia, un monologo tratto da Re Lear. Allo svuotarsi del cervello della madre fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa mentre questa si popola di oggetti, di ricordi che aumentano pesano e riempiono tutte le stanze.
Il lavoro trova risonanze e spunti in Una donna di Annie Ernaux, nel romanzo Fratelli di Carmelo Samonà e in I curacari di Marco Annicchiarico ed è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore.
Il grande vuoto contamina la narrazione teatrale con il video in presa diretta per raccontare che le fotocamere di video sorveglianza e le loro immagini con visione notturna, permettono a un figlio di continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore. Guardare la propria madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie pezzi di carta e mutande sporche per poi rimetterli dentro.
Tante le domande che ci hanno spinti a sprofondare in questa materia artistica, ad addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi e se resta qualcosa di quello che siamo stati mentre ci approssimiamo alla fine, ma una su tutte è forse la più incandescente bella e giusta per il lavoro ed è quella letta in un fumetto della autrice Giulia Scotti: “il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?”


