Equivoci e scambi d’identità per un gioco attoriale straordinario: il ritorno di Carlo Cecchi al suo amato Shakespeare lo vede cimentarsi con una commedia corale fondata sugli equivoci, esaltata dalla traduzione della poetessa Patrizia Cavalli, dalle musiche di Nicola Piovani e dai sontuosi costumi di Nanà Cecchi. Il regista, anche interprete nelle vesti di Malvolio, ha lavorato sulla stilizzazione e sull’essenza dei personaggi, attraverso quella maestria che ha fatto di lui il più moderno tra i grandi registi-interpreti del teatro italiano.
Figura di primo piano nel panorama teatrale nazionale, Carlo Cecchi frequenta l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica come attore all’inizio degli anni ‘60, successivamente viene influenzato dal Living Theatre, lavora a lungo con Eduardo De Filippo. Stringe un sodalizio artistico con la scrittrice Elsa Morante e con il critico Cesare Garboli. Memorabili le sue interpretazioni di numerose opere Shakespeariane; il suo repertorio è però vastissimo e spazia da Beckett a Pirandello, da Cechov a Molière, a numerosi altri autori contemporanei portati da lui per la prima volta in scena in Italia. Analoghe considerazioni valgono per il cinema, dove va ricordato in particolare per Morte di un matematico napoletano di Mario Martone e dove ha lavorato con registi come Bernardo Bertolucci (Io ballo da sola), Pupi Avati, Ferzan Ozpetek e Cristina Comencini e nell’opera prima di Valeria Golino Miele. È vincitore di 5 Premi Ubu, l’ultimo dei quali nel 2013 come miglior attore protagonista per La serata a Colono di Elsa Morante, diretto da Mario Martone.

Al plot principale di questa commedia, se ne accosta un altro, forse più importante. È un plot comico e si svolge alla corte della Contessa: lo zio ubriacone e l’astuta dama di compagnia; un maggiordomo e un cretino di campagna che spasimano ambedue per la Contessa e,  non poteva mancare, il fool. Malgrado la sua funzione comica, questo plot ha uno svolgimento più amaro: la follia che percorre la commedia, come in un carnevale dove tutti sono trascinati in un ballo volteggiante, trova il suo capro espiatorio nel più folle dei personaggi, il maggiordomo, un attore comico che aspirava a recitare una parte nobile, quella del Conte Consorte. L’amore è il tema della commedia; la musica, che come dice il Duca nei primi versi  “è il cibo dell’amore” ha una funzione determinante. Non come commento ma come azione. La scena reinventerà un espace de jeu che permetta, senza nessuna pretesa realistica o illustrativa, il susseguirsi rapido e leggero di questa strana malinconica commedia, perfetta fino al punto di permettersi a volte di rasentare la farsa. – Carlo Cecchi