con (in ordine alfabetico) Giovanni Calcagno, Filippo Luna, Vincenzo Pirrotta e con Amalia Contarini, Gabriella De Fina, Andrea Gambadoro, Nancy Lombardo, Rosario Minardi, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa, Alessandro Romano, Antonio Silvia, Salvatore Trincali e tre musicisti scene e costumi Giuseppina Maurizi musiche originali Ramberto Ciammarughi luci Giovanni Santolamazza regia Vincenzo Pirrotta
Quando, nel 1925, Pirandello fonda la Compagnia del Teatro d’Arte a Roma, debutta con La sagra del Signore della nave. Da allora, è uno dei suoi testi meno frequentati. Vincenzo Pirrotta, alla sua prima incursione nella drammaturgia pirandelliana, ne firma un nuovo allestimento per il Teatro di Roma, con il suo personalissimo e inconfondibile stile. Continuando la sua ricerca sui ritmi mediterranei – con la danza, la musica, il canto, la parola recitata che si compenetrano – Pirrotta si accinge a mettere in scena uno spettacolo coinvolgente, suggestivo, trascinante, di grande impatto visivo e sonoro. Dove tra danze orgiastiche, canti rituali, processioni liturgiche, apparizioni di personaggi improbabili, viene fuori in tutta la sua drammaticità la condizione umana raccontata da Pirandello, tanto più tragica quanto più comica e grottesca. “La sagra – disse un giorno Pirandello – è destinata a spettatori di buon stomaco, è una vivace, anzi violenta e coloritissima rappresentazione del peccato e della penitenza, cioè di quello che ha in sé di tragico la bestialità umana e che le bestie per loro fortuna non hanno”. La sagra del signore della nave è un apologo sulla dignità della natura dell’uomo, animale nobile, comparata a quella del porco, animale vilissimo. Confronto icasticamente proposto sullo sfondo d’una scanna dei maiali che si celebra annualmente in campagna, dinanzi a un’antica chiesetta normanna, S.Nicola, poco fuori Agrigento, dove si venera il Signore della nave, un grande Cristo crocifisso, terrificante nelle fattezze ma prodigo di miracoli. In vista della scanna s’accende una disputa tra un Pedagogo e un grasso signor Lavaccara, il quale pretende che un suo maiale, al quale si è affezzionato come ad un cane, sia una bestia intelligente, e che nei lunghi mesi d’allevamento, sia lui che il figlio, avevano battezzato con un nome da cristiano. E ci parlava, col maiale, e quello rispondeva, che pareva capisse, tanto era intelligente. Intelligenza che il Pedagogo nega, servendosi d’un malizioso paradosso: come può dirsi intelligente una bestia che mangia sino ad ingrassare per l’altrui soddisfazione? Intelligente è l’uomo che può permettersi il lusso di mangiare come un porco, sapendo che alla fine, ingrassando, non sarà scannato. Appare chiara la superiorità dell’Uomo sul porco. Vincenzo Pirrotta
produzione Teatro di Roma