con Valentina Arru, Roberta Cortese, Davide Livermore, Giancarlo Judica Cordiglia, Lorenzo Fontana Banda Baretti Efix Puleo violino Margherita Monnet violoncello Chiara Maritano chitarre Andrea Chenna fiati Angelo Conto strumenti a tastiera Stefano Risso bassi Simone Boscopercussioni Marco Carretta assistente musicale musica Andrea Chenna regia Davide Livermore

È una vertigine barocco-metropolitana la favola in musica affidata alle invenzioni sonore di Andrea Chenna, qui a capo della Banda Baretti, che agisce su un testo-libretto di Silvio Cocco e Sergio Licursi messo in scena da Davide Livermore. Sullo sfondo di una tangenziale, non-luogo per antonomasia, vicino a un distributore di benzina, che irradia, letteralmente, energia, si dipana la tragicommedia di Arnalta (il cui nome è ovviamente una carta da visita monteverdiana), terribile donna en travesti, che per rimediare a un grave dissesto finanziario prostituisce la piccola Satin, astratta nel suo mondo, tra sogni di viaggi impossibili e una quotidianità vissuta “con gli occhi chiusi”. Un coro commenta malignamente in una lingua antica il precipitare del Fato e la sua presenza introduce a un ritorno alla forma chiusa e nello specifico alle produzioni di quel percorso tra madrigale e opera, che produsse titoli straordinari come La rappresentazione di anima e di corpo di Emilio De’ Cavalieri, sovente citata. Là batteva il più vero cuore del barocco, quel suo essere “festa mobile” di forme, aperta e sincretica, secondo la celebre formula di Eugenio d’Ors. Come già W. H. Auden aveva stabilito una volta per tutte negli anni ’30, nessuna epoca più di quella allude alla nostra “Età dell’Ansia”, in un continuo e spontaneo cortocircuito tra antico e contemporaneo. Il declamato accompagnato sfocia nell’hip hop alla ricerca di aggiornate modalità di un ‘recitar cantando’. Secondo Livermore questo lavoro è esattamente concepito per interpreti “mutanti”, x-men del teatro, né cantanti, né attori soltanto, che sappiano aderire alle richieste varie e complesse che sono loro proposte dalla scrittura musicale e scenica. Al centro sta il corpo, che subisce continue metamorfosi, posto in vendita o assorbito dalle rovine del mondo postindustriale, in un’ininterrotta vertigine di sguardi destinati a non incontrarsi. Sulla scena il segno forte di Botto & Bruno, autori di visioni dedicate a una dreamlife di periferia in cui personaggi categoricamente senza volto, o visti di spalle, osservano il cielo, ma soltanto quando è riflesso nelle pozzanghere, senza poter alzare il viso, attaccandosi disperatamente ai loro oggetti-feticcio. Botto & Bruno disegnano anche i costumi che danno corpo a una potenziale comic-strip, in cui è evidente la radicale difficoltà a comunicare dei protagonisti in quel “gran theatro del mondo” familiare che accoppia orrore e “maraviglia”.

scene e costumi
Botto&Bruno

luci
Alberto Giolitti

produzione
Teatro Regio di Torino
Cine Teatro Baretti