Come si fosse in uno studio televisivo, forse simile a quello della Associated-Rediffusion Television di Londra, in cui L’Amante è stato mandato in onda per la prima volta il 28 marzo 1963, gli spettatori assistono alla pièce con la tecnica a vista e davanti a sé due ambienti di una tipica casa alto borghese dell’Inghilterra di cinquant’anni fa: un marito e una moglie, Richard e Sarah, abitano un elegante salotto e una lussuosa camera da letto, con una porta che dà su un verde infinito e una luce che filtra dalle veneziane semiaperte. Il pubblico è lì, presente ma non visto, a spiare la coppia e le sue vicende più intime, da un buco della serratura teatrale.

Massimiliano Farau, regista che da anni collabora con Fondazione Teatro Due (suo fra gli altri Odore di santità che ha debuttato lo scorso novembre a Teatro Parma Festival 2011), ha creato con Fabiana Di Marco, che firma le scenografie e i costumi, e Pasquale Mari, che firma il disegno luci, un allestimento dai toni bianchi e neri, retrò ed elegante come i suoi protagonisti, in cui dominante è il realismo non realistico tipico dei testi pinteriani: la scena come l’opera sono dunque pervasi non dal naturalismo televisivo ma da un forte senso di realtà teatrale, dilatata; negli ambienti come nei personaggi si aprono squarci, s’intravedono ferite, si intuiscono in modo obliquo retroscena bui e profondi.

Si penetra così, con leggerezza e spietatezza, nell’intimità di una tipica coppia borghese con le sue tipiche, e comuni, perversioni, interpretata dagli intensi Mascia Musy e Graziano Piazza (con la partecipazione di Giacomo Giuntini): dai suoi segreti erotici ai rituali più borghesi, dalle gelosie e le bugie alle seduzioni e ai piaceri più reconditi, scorre davanti al pubblico il rullo bianco e nero di una giornata di Sarah e Richard, colti nel momento della crisi e del superamento del gioco erotico da tempo in atto tra i due.

L’amante costituisce, insieme a Vecchi tempi e Tradimenti, una trilogia sulle menzogne dell’amore e una spietata critica agli stilemi borghesi dei primi anni ’60, quando ancora non fumava in Europa e in America il rogo del ’68 libertario e libertino. Disseminato di colpi di scena e rovesciamenti di senso, l’atto unico giunge nel finale alla speranza di una possibile conciliazione delle doppiezze umane, intime e sociali: sarà Sarah a farsi carico di questa soluzione, riuscendo ad abbracciare in sé le antinomie di cui Richard sembra invece essere completamente in balia.

Nel 2005 Harold Pinter ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura e in tale occasione Horace Engdahl, Presidente dell’Accademia di Svezia, lo ha definito un artista “che nelle sue opere ha svelato il precipizio nascosto sotto il chiacchiericcio quotidiano e ha forzato l’ingresso nelle chiuse stanze dell’oppressione”.

Nel 2006 gli è stato conferito il Premio Europa per il Teatro e nel gennaio 2007 il primo ministro francese Dominique de Villepin gli ha assegnato la Legion d’onore. Si è spento la vigilia di Natale del 2008 all’età di 78 anni.

L’amante è il più elegante “studio” che Pinter abbia dedicato alla psicologia della vita coniugale e al tempo stesso una vertiginosa sciarada sulla natura ambigua ed elusiva della realtà. Che cosa fa sì che Richard accetti così di buon grado, almeno in apparenza, il rapporto adulterino di sua moglie? Qual è il segreto che si cela dietro il complesso e regolatissimo rituale amoroso fra Sarah e il suo amante? E perché Richard, in superficie così accondiscendente, non riesce tuttavia a trattenersi dal mettere in atto una sottile quanto velenosa strategia verbale di dissacrazione dell’idillio erotico fra sua moglie e l’amante? E soprattutto: chi è “l’amante”?

Abbagliandoci con la scintillante brillantezza dei dialoghi, degni della più sofisticata “high comedy” alla Noël Coward, Pinter ci conduce attraverso il labirinto di un raffinatissimo e pericoloso gioco di ruolo, facendoci intravedere l’abisso della perdita di sé che ogni rapporto amoroso comporta come rischio. Fino a farci approdare, nell’inatteso finale, ad una ritrovata armonia in cui si celebra, come ha scritto Michael Billington, il “trionfo della sanezza femminile sul senso di colpa maschile”. – Massimiliano Farau

 

 

Massimiliano Farau