Con la cultura si mangia? E’ la domanda degli ultimi anni, con cui la riflessione politica sul ruolo del pensiero, dell’arte e dell’intelletto nella nostra società, in questo momento di difficile crisi economica e sociale, ha raggiunto il livello più infimo. E sta anche all’arte e alla cultura stesse, affermarsi, riscattarsi, con forza e quando possibile con ironia e leggerezza. L’Ensemble di Teatro Due porta avanti con consapevolezza e passione il proprio ruolo e lo fa anche attraverso la voce di autori del passato, perché ieri come oggi la cultura è stata attaccata dalla politica, dal potere, e ieri come oggi l’arte rimane un fattore di benessere sociale. Ne Le rane ci s’interrogava sulla funzione salvifica dell’arte e della poesia nella vita della polis; ora Le nuvole segnano un nuovo passo nel repertorio dell’Ensemble basato sui classici, nella convinzione che il teatro eterno scritto dai padri della scena sappia porre le giuste domande e abbia in sé molte risposte ai dubbi che il nostro presente suscita, con poesia e lieve, divertente profondità.
Il testo è considerato uno dei più attuali di Aristofane, se pur rappresentato per la prima volta alle Dionisie del 423 a.C. e rielaborato successivamente dall’autore fino al 417 a.C. Il bersaglio satirico esplicito di Aristofane è l’arte oratoria e dialettica socratica e sofistica, con i suoi strumenti di convincimento e seduzione; ma quelli di cui ci si prende gioco ora sono più in generale i fabbricanti di verità, quelli che inducono l’uomo medio a fare, pensare, credere quello che desiderano, quelli che piegano il pensiero e l’arte ai loro bassi scopi e fanno della cultura un qualunque strumento di potere e lucro. “Le nuvole parlando di un tema che ci è molto caro e vivo: il senso e l’importanza del dibattuto culturale all’interno di una società in crisi”, spiega Gigi Dall’Aglio e prosegue: “Strepsiade e con lui suo figlio Filippide fanno parte di quella categoria di persone che hanno l’arroganza della propria ignoranza, che si sentono in diritto di proclamare senza alcuna vergogna che la cultura serve solo a soddisfare i propri bisogni, monetari s’intende. Le nuvole dunque è uno spettacolo che smaschera chi ha questo atteggiamento, che sfocia spesso nella violenza. Il tormentone di Strepsiade è: se con la cultura uno paga i debiti, allora viva la cultura! Ma verrà smentito…”
In questa riflessione ironica e divertente sulle armi di persuasione di massa, sulla forza che le parole acquistano quando volte a fini non meritevoli, l’Ensemble conduce il pubblico in un percorso “on the road” verso la verità, che scopriremo mutevole e soggettiva. In scena giunge un carrozzone di comici, che catturerà il pubblico in un gioco meta-teatrale, in cui ciascun personaggio per essere vero, è falso: in fondo si è nel luogo della menzogna necessaria, della falsità per eccellenza, il teatro, in cui la verità diviene più vera del vero. Dichiara l’Ensemble Attori Teatro Due: “E noi poveri guitti lacerati tra verità e menzogna, tra realtà e rappresentazione, tra paradosso e quotidianità ci barcameniamo ancora una volta sotto un cielo sempre incerto, confuso, mosso da nuvole scure e severe o rapide e gioiose”. Queste nuvole-spose, nuvole-donne, inascoltate e indaffarate, “dense e leggere, servizievoli e catastrofiche, disponibili e vaporose, assenti e presenti, variabili e stabili, concrete e ondivaghe, che mettono in crisi il pensiero con la loro femminile varietà”.
La scena è lo specchio della platea; gli attori sono lo specchio del pubblico, cantano i guitti dal palco, e ancora una volta la città è interpellata, invitata a riflettere su cosa sia questa strana cosa chiamata pensiero, chiamata desiderio…

Il contadino Strepsiade è perseguitato dai creditori a causa dei soldi che suo figlio Fidippide ha dilapidato alle corse dei cavalli. La soluzione alla perdizione del figlio è mandarlo alla scuola di Socrate, ove apprendere come prevalere negli scontri dialettici e, pensa Strepsiade, vincere le cause contro i creditori. Fidippide però si rifiuta di raggiungere Socrate e così il padre decide di recarvisi lui stesso. Socrate invoca l’arrivo delle Nuvole, divinità da lui adorate che si presentano puntuali sulla scena, ma Strepsiade non comprende nulla dei discorsi che gli vengono fatti e viene quindi cacciato. Fidippide, incuriosito dai racconti del padre, decide infine di andare a visitare il pensatoio e quando arriva assiste al dibattito tra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore: nonostante i buoni propositi e i sani valori proposti del primo, alla fine prevale il secondo. Fidippide impara la lezione ed insieme a Strepsiade riesce a mandare via due creditori; il padre è contento, ma la situazione gli sfugge subito di mano: Fidippide comincia infatti a picchiarlo, e di fronte alle sue proteste il figlio gli dimostra di avere tutto il diritto di farlo. Esasperato e furioso, Strepsiade dà allora alle fiamme il Pensatoio di Socrate, tra le grida spaventate dei discepoli.

Chi non ha coscienza della propria ignoranza.
Chi crede di sapere tutto senza bisogno di ascoltare nessuno.
Chi crede che la cultura serva solo a succhiare soldi.
Chi crede che la cultura abbia senso solo se si rende conforme alla sua pancia.
Chi non ha mai dubbi.
Chi ha solo certezze.
Chi ha la certezza che siano sempre gli altri la causa dei propri fallimenti.
Chi pensa che i problemi si risolvano eliminando chi li solleva.
Chi non ha mai mosso un passo perché tanto è tutto uguale.
Chi è sordo a ciò che è diverso.
Chi non ha orizzonti.
Ecco il nuovo protagonista di Aristofane, Strepsiade. L’ “eroe” sbagliato che viene messo alla prova nel vortice di una nuova teofania: quella delle nuvole. Dense e leggere, servizievoli e catastrofiche, disponibili e vaporose, assenti e presenti, variabili e stabili, concrete e ondivaghe, mettono in crisi il pensiero con la loro femminile varietà.
L’antagonista è un falso intellettuale, con le sembianze di Socrate e il nostro “eroe”, continuamente provocato dalle suggestioni dal suo nuovo credo meteorologico, opterà per una soluzione finale dal sapore tragico: rimozione della cultura.
Il Socrate di Aristofane è niente di più che un espediente drammaturgico usato per suscitare le reazioni senza riscatto del protagonista Strepsiade. Il pubblico del tempo si divertiva nel cogliere la reale rivalità culturale tra il filosofo e l’autore della commedia. Forse, però, anche se le premesse erano nell’aria, Aristofane non poteva certo immaginare che pochi anni dopo l’uscita della sua commedia, nella realtà della storia, il mondo democratico e conflittuale di Atene si sarebbe liberato della presenza di Socrate (coscienza dell’ignoranza) decretandone la morte…
L’improponibile “eroe” oscuro di Aristofane si prendeva la sua rivincita, ma la Storia si sarebbe incaricata di ristabilire gli ordini di grandezza.
E noi poveri guitti lacerati tra verità e menzogna, tra realtà e rappresentazione, tra paradosso e quotidianità ci barcameniamo ancora una volta sotto un cielo sempre incerto, confuso, mosso da nuvole scure e severe o rapide e gioiose.

Ensemble Attori Fondazione Teatro Due