In un momento quanto mai difficile per il nostro Paese e per la nostra città, il nucleo storico dell’Ensemble Attori di Teatro Due affronta attraverso questo classico della commedia greca la cruciale questione del ruolo politico della cultura, dell’arte, della poesia e del teatro nella società civile. E lo fa con comicità e leggerezza, al ritmo di un sirtaki, lanciando frasi in un megafono, inscenando un duello poetico, affidando al voto del pubblico il responso.

Come si può salvare una città che non sa distinguere il bene dal male? si chiede Aristofane e ci chiedono gli attori di Teatro Due. La risposta non è semplice ma l’umorismo e l’ironia di questo antico ed attualissimo testo conducono il pubblico in un viaggio agli inferi surreale e sgangherato, alla ricerca delle verità a cui la politica, ieri come oggi, pare non credere. Un viaggio per la salvezza della polis, che Aristofane crede attuabile attraverso il teatro.

Le rane parla di noi, di una società in decadimento. Atene nel 405 a. C. è una città in mano alla corruzione: lentamente si sgretola quella che per secoli era stata considerata la radice della modernità e un prezioso caso di raffinatezza culturale. Aristofane dunque ingaggia Dioniso, Dio del teatro e della doppiezza, e lo manda nell’Ade alla ricerca degli antichi poeti-tragediografi che, resuscitando, possano restituire alla città i valori perduti.

L’Ensemble di Teatro Due attiva, e non attualizza questo classico della commedia greca, proponendolo a noi, figli di un pragmatismo miope e orfani di miti, in gran parte logori. Non si tratta di piegare Aristofane per parlare dell’oggi, ma al contrario, di utilizzare la nostra contemporaneità tutta, per cercare i nostri Eschilo e Euripide, e riscoprire Aristofane.

 

Per riflettere sulle contraddizioni e sulla crisi di valori, è più utile un film come Accattone o come Schindler’s list?

E’ meglio affidarsi incondizionatamente alla forza dirompente dei giovani che vedono nei vecchi stanchezza e corruzione, o alla saggezza e morigeratezza dei vecchi che vedono nei giovani assenza di radici e di interessi?

Ma se i giovani sono già disponibili a farsi corrompere e i vecchi non sono più morigerati? 

Se alla dialettica si è sostituita la rissa?

Se alla volgarizzazione dei grandi problemi, la demagogia?

Se non ci sono più intellettuali di supporto alla politica?

Se la politica non produce più interesse per gli intellettuali?

Se il futuro non è più una meta?

Se il passato appare solo come una cassaforte di tesori perduti?

Se le acque sempre burrascose delle democrazie sono diventate stagnanti e pian pian risalgono in superficie, dal fondo, gli escrementi?

Se il sarcasmo di Woody Allen è il cinico specchio del presente?

Gigi Dall’Aglio

 

Con grande e semplice professionalità, mestiere e acuto artigianato teatrale viene presentato uno spettacolo a direzione multipla, giusta quanti sono i suoi otto vivacissimi interpreti che, una volta assegnate le parti, si prodigano scena a dare il meglio di se stessi per la riuscita di una rappresentazione lontana dalle abituali modalità di interpretazione di un testo “classico”. […] Oggetti iperbolici invadono la scena, il movimento degli attori è febbrile e costante, a un passo dall’assurdo; a non farlo precipitare nel delirio scenico è l’intento pedagogico, brechtianamente didattico che il gruppo dei valenti protagonisti si è assegnato.

 

Giuseppe Liotta – Hystrio, marzo 2013