NOTE SUL FUTURO. TRA LE GENERAZIONI
Di Pietro Pellegrini
Negli ultimi anni sono diventate prevalenti alcune convinzioni che ormai fanno parte di una cultura condivisa che non sembra preoccupare l’opinione pubblica e non attiva critiche e reazioni.
Quali sono queste convinzioni?
1) Il futuro sarà diverso, decisamente peggiore rispetto al presente. I giovani devono convincersi che non staranno meglio dei loro padri, che non avranno lavoro sicuro, che non avranno pensioni e welfare. Si prospetta con certezza uno scenario pessimistico che danneggia le persone (che rischiamo di rassegnarsi, perdere le speranze, disinvestire e anche evitare di protestare) e la stessa economia.
2) Questo furto di futuro serve a preparare i cittadini alla sofferenza, a tollerare/accettare come inevitabili le misure necessarie per “non fallire!”, per evitare che la catastrofe si realizzi oggi, tutta in una volta, anziché nel tempo, in modo meno deflagrante ma inevitabile. In questo senso, qualcosa di mortifero per la speranza delle persone (alle quali viene ricordato ogni giorno che potrebbe andare sempre peggio e quindi devono pagare e soffrire per sperare) serve a mantenere rigide posizioni ideologiche per le quali vengono dati soldi pubblici a banche private (per salvarle) senza farle diventare di tutti (cioè pubbliche) come le regole di mercato prevederebbero. Siamo di fronte ad un curioso liberismo che non disdegna affatto, anzi pretende, interventi di aiuto pubblici nel sostegno dei propri interessi mentre è inflessibile e dipinge come il “male assoluto” le risorse pubbliche che vanno ai cittadini come pensioni, servizi sanitari, scolastici, sociali (i cui lavoratori vengono spesso dipinti come “fannulloni privilegiati”). E non ha remore di fronte a fenomeni di grave povertà, denutrizione di bambini e anziani (anche nella “ricca” Europa) …tanto un po’ di carità mette sempre tutto a posto. E anche gli scenari internazionali rischiano tra ideologie e bisogno di materie prime di diventare ambiti di conflitti più o meno estesi. La storia insegna che le crisi economiche e sociali sono spesso sfociate in guerre. Anche su questo punto si sta preparando l’opinione pubblica, nonostante costituzione ecc.
3) Manipolazione del passato e falsificazione della storia. Se siamo in crisi è perché il sistema di welfare è troppo costoso, insostenibile, non possiamo (o non possono i più deboli?) più permettercelo. Pertanto le generazioni più anziane debbono sentirsi responsabili e quindi accettare tagli di pensioni, sanità e servizi. La rappresentazione dell’anziano “egoista” che vuole tenere per sé lavoro, consuma i servizi ai danni del bilancio dello stato e del futuro dei giovani (“bamboccioni” che non si danno da fare) è sempre sottotraccia. Altro che anziano saggio a cui si riconosce il contributo per la creazione della democrazia, dalla lotta antifascista alla sua difesa nel periodo delle stragi e del terrorismo, e alla grande spinta per la crescita economica, sociale, civile (si pensi all’emancipazione femminile, all’inclusione delle diversità) del nostro paese negli anni 60 e 70. Una violenza che si realizza prima nell’immaginario che nella realtà.
4) Non c’è salvezza se lo stato svende ai privato i beni, i gioielli e i valori della comunità in un grave malinteso su cosa significhi privatizzazioni e liberalizzazioni (si possono privatizzare le autostrade o le reti telefoniche? O il Colosseo?) e quali siano le reali conseguenza. Un bilancio ai cittadini di tante operazioni non viene mai presentato. Ma al di là di questo, cosa significa per una comunità perdere solidarietà, saggezza, pace, cultura? E’ la barbarie sociale e culturale che va prevenuta. Perché la crisi economica non diventi anche sociale, culturale, di valori.
5) Se il futuro sarà peggiore per tutti, ognuno cerchi di arrangiarsi come può. Questa è la ricetta ripetuta ogni giorno. Ma la cultura individualista e competitiva, che oscilla dal merito allo yuppismo, come può realizzarsi se mancano le opportunità? Quindi non resta che l’emigrazione. C’è chi pensa anche a nuove forme di protezionismo o chiusura (il problema è l’altro, l’ immigrato, oppure l’Euro) o a scenari catastrofici (l’esaurimento delle risorse del pianeta) il che non significa che non siano problemi in sé ma li segnalo perché possono diventare convinzioni pervasive che apparentemente e in modo semplicistico sembrano risolvere i problemi ma servono soprattutto a dare sicurezze interiori. Così vengono percepiti come mali inevitabili, attaccabili ma comunque persistenti e non eliminabili, l’evasione fiscale e la mafia.
6) Come uscirne? Occorre la capacità di pensare in grande, di ripensare il futuro come bene comune e come occasione per un miglioramento della vita nel nostro pianeta. Non si tratta di spargere ottimismo di facciata, né di avere fiducia nelle capacità autorigenerative dei mercati ma di riprendere un’azione politica, sociale e etica. Darsi, attraverso la partecipazione, obiettivi di grande respiro: alimentazione, salute, istruzione e cultura per tutte le persone del mondo in un rinnovato rapporto con il pianeta che ci ospita e che abbiamo il dovere di preservare e migliorare per le future generazioni. (Cosa e come produrre? la Decrescita?)
7) Cosa fare: dare reddito e lavoro di qualità a tutti. Puntare alla piena occupazione anche attraverso il pubblico, mediante contratti di solidarietà. Creare grandi obiettivi locali: ogni comune dovrebbe mobilitarsi in uno o più progetti di bene pubblico che vedano il concorso di tutti, anche dei privati. Favorire al massimo grado l’istruzione, la cultura e l’arte. Promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e lo sviluppo dell’innovazione e della ricerca. Tutelare al massimo grado l’ambiente con il recupero del patrimonio storico culturale, e la demolizione di tutte le brutture. Un ambiente più sano e bello è essenziale per migliorare la salute e la qualità della vita.
8) Facilitare le nuove forme di convivenza e famiglia con una grande politica dei diritti e dell’accoglienza.
9) Regolare la finanza in modo omogeneo livello internazionale e dare il senso che non vi sia un potere occulto (o perverso) che domina stati e cittadini.
10) Sapere accogliere e valorizzare tutte le diversità. Una comunità che si occupa di tutti i suoi membri e del territorio in cui vivono. Senza abbandonare nessuno perché il benessere di ciascuno dipende da quello di tutti.
Queste sono solo alcune sommarie note. Forse qualcuno le leggerà come utopiche ma è di questo che abbiamo bisogno. La sofferenza è molto alta e al tempo stesso lo stato di rassegnazione è tale che di fronte al 42% di disoccupazione giovanile non vi sono state manifestazioni, cortei, proteste e anche quando si è mosso qualcosa si è subito rimarcato il pericolo dell’aggressività e dell’antisocialità, del terrorismo.
Molta sofferenza resta inclusa nelle famiglie (si pensi femminicidi) o riguarda il corpo (disturbi dell’alimentazione), le relazioni (il ritiro, la chiusura) fino ai propositi, vissuti e agiti auto lesivi/autosoppressivi/suicidi.
A fronte di questo dobbiamo ridare valore alla vita e alle motivazioni delle persone che è l’unico modo per contrastare una sottile violenza quotidiana, una sorta di banalizzazione non solo del male ma delle persone stesse. La sensazione di non avere speranza e “non avere nulla da perdere” diviene speculare alla rassegnazione che non c’ è più alcuna certezza e quindi si “può perdere tutto”.
Quindi bisogna ridare sicurezze, il senso di non essere abbandonati e disperati. Che siamo capaci di reciprocità, di occuparci l’uno dell’altro. Per questo occorre investire massicciamente nei servizi del welfare pubblico universalistico, vera scoperta e innovazione del novecento e fondamentale sia per il benessere e la qualità della vita ma anche per lo sviluppo economico.
Il mondo della scuola, dove si costruisce il futuro, è una grande occasione di crescita culturale, riscatto sociale e di partecipazione democratica (secondo lo spirito di don Milani). Ne può emergere una società con generatori di valori diversi da quelli del denaro e del mercato che può aiutare a capire e ad apprezzare ciò che può essere non solo produttivo, utile ed efficace ma anche ciò che è buono, giusto, vero, bello, sacro?
Penso occorra comprendere come sia meglio educare alla cooperazione che non alla competizione: la ricerca e l’innovazione, ma anche tante altre attività richiedono un lavoro in/di gruppo e non sapere cooperare è molto grave. Per farlo bisogna educarsi all’autocontrollo e al confronto con la diversità derivante dalle culture, dalle condizioni di salute ecc. che stimola anche la solidarietà, la strutturazione dei valori e costituisce una delle maggiori risorse della scuola e della società. Questo atteggiamento è essenziale per dare prospettive ai giovani e costruire uno scenario di senso nel quale iscrivere la propria vita futura (professionale e non).
L’amore per la cultura e il paesaggio: sono queste nuove sensibilità di molti giovani ai quali da adulti abbiamo il compito di consegnare un mondo conservato nella sua bellezza, un patrimonio inestimabile. Siamo ospiti del pianeta, occorre amarlo e con esso la cultura: leggete libri ai vostri bambini, fate ascoltare musica, trasmettete amore per la conoscenza e la creatività, il saper fare artigiano, la saggezza. Resta il migliore investimento. Non lasciamo sole le nuove generazioni, colmiamo il vuoto, facciamo qualcosa per i tutti i ragazzi e ragazzi sia per quelli motivati, bravissimi, capaci che richiedono sbocchi, opportunità sia per coloro che rischiano di essere emarginati e “perdenti” affinché nessuno sia escluso. Valorizziamo tanti insegnati, medici, fisici, ingegneri preparati che rischiamo di emigrare.
Ma tutti, proprio tutti, dai bambini ai pensionati debbono partecipare a costruire il futuro!