Persefone nacque da un incesto e di un incesto fu vittima a sua volta. Suo padre Zeus la generò unendosi alla sorella Demetra, dea dell’agricoltura e della fertilità; cresciuta, venne rapita dallo zio Ade, re degli Inferi, fratello di Zeus, per farne la sua sposa e portata nell’Oltretomba contro la sua volontà, ma con il consenso del re degli Dei. Demetra la cerca per nove giorni e provoca per vendetta la fine della fertilità sulla terra, affamando i mortali con un inverno senza fine e interrompendo i sacrifici agli dei. Zeus obbliga perciò Ade a restituire Persefone alla madre. Il re degli Inferi deve accettare ma, prima di lasciarla ritornare, le offre sei semi di melograno, facendole interrompere il digiuno. Chi mangia i frutti degli inferi è costretto a rimanervi per l’eternità, ma Demetra otterrà da Zeus che Persefone resti con lo zio e sposo Ade solo per il numero di mesi equivalente ai semi da lei mangiati  condannando l’umanità al buio e al gelo dell’autunno e dell’inverno e il resto dell’anno con la madre sulla terra, che potrà così rifiorire nella primavera e nell’estate.

Una morta che torna alla vita per dire che i vivi abitano un mondo di illusioni. La luce di cui godono i viventi è troppo accecante per essere gradevole; soltanto l’oscurità dell’Ade permette di distinguere le pieghe della realtà, rispetto ad un chiarore che appiattisce tutto.  Persefone, con la sua esistenza da uccello migratorio che rincorre le stagioni ragiona con l’amica Ciane sull’attrazione della morte, sull’oscurità (abisso agognato capace di nascondere), sull’assenza di qualsiasi rumore e suono. Persefone con la sua attrazione per Ade, diviene così figura della profonda certezza della fine e del “sempre”. Non della malattia della morte scrive Ritsos, ma forse del suo vivere e vedere nel buio che “sia la morte la parte più autentica di noi”.