PETER PAN

James Mattew Barrie

Peter è un adulto che fa innamorare; che non conosce la sofferenza del tempo che passa; che, per questo, si ripresenta alle amate all’improvviso (accade a Wendy Darling) pretendendo che lo si segua; non accorgendosi che, ormai, sono divenute madri e presto saranno nonne. Peter è l’anti-Pinocchio, non c’è moralità adulta che riesca, prima o poi, a trasformarlo in un essere normale. È un dio dell’incuranza del tempo e delle regole dello spazio; di ciò che significa dolore materno. Inventato per essere monito e scoraggiante figura dei bambini troppo “spensierati, innocenti e senza cuore”, descrive, circondato da simbologie dell’errare immaturo (l’isola, il mare, i giardini), l’epopea di un figlio interiore felice della propria immaturità.
Certo incomprensibile a quegli adulti che più non sanno se, una volta, sia mai esistita una loro infanzia.

Duccio Demetrio
Elogio dell’immaturità. Poetica dell’età irraggiungibile

PETER PAN
o LA FINE INIZIA A DUE ANNI
ovvero
IL BAMBINO CHE SI RIFIUTÒ DI CRESCERE
traduzione ed elaborazione di Luca Fontana
dal play di James Mattew Barrie
con integrazioni dal romanzo Peter Pan and Wendy di J.M.Barrie
con (in o.a.) Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Giancarlo Judica Cordiglia, Roberta Cortese, Lorenzo Fontana, Sax Nicosia, Tania Rocchetta, Maria Grazia Solano, Marcello Vazzoler
musiche Andrea Chenna
eseguite da Banda Baretti: Simone Bosco percussioni, Stefano Risso basso, Angelo Conto tastiere
costumi Gianluca Falaschi
luci Luca Bronzo
regia, spazio scenico Davide Livermore

debuttato il 2 aprile 2006

Il primo invito è dimenticare Walt Disney. Mirabile la realizzazione grafica, ma in quel film la storia inventata da James M. Barrie veniva da un lato “bambinizzata”, dall’altro moralizzata: quel che conta è il viaggio di ritorno al mondo di papà e mamma, dopo una lunga vacanza nel lunapark della fantasia. Per la cultura inglese invece Peter Pan tocca così a fondo nell’immaginario collettivo di adulti e bambini da smarginare ben oltre il genere “letteratura per l’infanzia” e divenire quasi una struttura mitica diffusa. Fu la cultura vittoriana inglese a creare l’immagine del bambino come “il diverso dall’adulto”, apparentato al primitivo e al femminile. Barrie creò un mondo parallelo, un’immagine di quel mondo di compensazione fantastica che i bambini creano per sé quando sfuggono per pochi istanti all’occhio dell’adulto, e al centro vi pose una figura semidivina, a metà umana e banale, nel nome Peter, a metà remotamente affine al dio greco del terrore dei boschi e del vitale disordine, Pan, di cui possiede anche un visibile attributo, il flauto. Peter Pan non cresce perché ha rifiutato di farlo, sa bene che compiere due anni è l’inizio della fine. Scopriremo, dal romanzo, che il segreto della sua eterna infanzia fuorilegge è l’assenza di memoria. Come gli dei antichi, Peter vive soltanto l’affetto di chi gli è presente ai sensi, poi tutto si cancella. Divini sono anche altri suoi tratti caratteristici: non ha peso; non mangia, non può essere toccato, salvo che dalle fate; e poi, vola, perché, creatura “onni-intermedia”, i bambini sono stati uccelli prima di essere creature umane.
Se così pervasiva è divenuta la leggenda di Peter Pan, sino a impastarsi col sostrato mitico di una cultura, ciò è avvenuto soprattutto grazie alla commedia e alla sua particolarissima forma. Barrie ha usato come contenitore un genere tipico del teatro inglese per bambini-accompagnati-da-adulti, il pantomime, che, malgrado il nome, nulla ha a che fare con la pantomima. È un teatro recitato tutto in proscenio, occhi negli occhi col pubblico, con cui si intrecciano coinvolgimenti e complicità; i ruoli sono spesso invertiti en travesti, cavalli, o coccodrilli, nel caso nostro, sono interpretati da volenterosi ragazzi con un approssimativo, sgangherato travestimento. Recitazione sopra le righe, infantilismo dei trucchi, uscite continue dalla parte, tutto congiura a rovesciare la famosa formula di Coleridge, producendo una “volontaria sospensione della credulità”.
Quell’immagine vittoriana del bambino come entità separata e intermedia è oggi diventata universale. Universale forse, anche se inespresso, è il sentimento di perdita e di lutto. Dietro l’affetto ostentato e la soddisfazione immediata tramite merci di ogni bisogno o angoscia infantile, c’è forse la medesima distanza e freddezza che Barrie rimproverava al suo ambiente calvinista. E così come il vecchio marinaio di Coleridge si portava al collo l’albatro della sua colpa, così ciascuno di noi si trascina al collo il bambino morto che fummo.

Luca Fontana

PETER PAN, di JAMES M. BARRIE

streaming dal 9 all’11 gennaio 2021

GALLERY

foto Michele Lamanna

Nell’incubo la natura rimossa ritorna, così vicina, così reale che non possiamo non reagire ad essa naturalmente, divenendo cioè interamente fisici, posseduti da Pan, gridando per avere luce, conforto, contatto. La reazione immediata è l’emozione demoniaca. Siamo ricondotti all’istinto dall’istinto.

James Hillman
Saggio su Pan