Da maggio 2012 oltre 20.000 spettatori in Italia hanno sancito il successo di Rosso, caso teatrale anche in madre patria, gli Stati Uniti, al Golden Theater di Broadway e a Londra al Donmar Warehouse (aggiudicandosi 6 Tony Award nel 2010). Logan è noto come sceneggiatore di molti capolavori cinematografici, dai film di Scorsese The Aviator e Hugo Cabret (che gli è valso una nomination per l’Oscar 2012), a Sweeney Todd di Tim Burton fino a Lincoln di Steven Spielberg (scritto con Tony Kushner e Paul Webb), ma sconosciuto sui palcoscenici italiani.

La pièce è ispirata alla biografia del pittore americano Mark Rothko, maestro dell’espressionismo astratto che alla fine degli anni ‘50 ottenne la più ricca commissione della storia dell’arte moderna: una serie di murales per il ristorante Four Season di New York. Puntando i riflettori su quel periodo, Rosso mette in scena lo scontro teso e feroce tra due generazioni di artisti: Rothko, il maestro maturo, fronteggia Ken, il giovane allievo alla ricerca di un padre da mettere in discussione. “Il figlio deve scacciare il padre. Rispettarlo, certo, ma anche ucciderlo”, sostiene Rothko ripercorrendo la propria storia, ed ancora, “abbiamo distrutto il cubismo, io, de Kooning e Barnett Newman”.

Logan dipinge il ritratto di un uomo ambizioso, egocentrico e vulnerabile, uno dei più grandi intellettuali del ‘900, per il quale “la pittura è quasi interamente pensiero. Mettere il colore sulla tela corrisponde al dieci per cento del lavoro – sosteneva – il resto è attesa”.  Pittura ed estetica, etica e spiritualità, istinto e percezione, apollineo e dionisiaco, arte effimera o necessaria, opere o merci e prodotti: tutti temi che l’autore rende materia teatrale drammatica e struggente.

 

Bruni è un Rothko arrogante e irrequieto, sprezzante e fragile… Teorizza, pontifica, dissacra, si tormenta combattuto tra mercato e sacralità dell’arte. Andy Warhol e compari lo incalzano alle spalle e nel confronto con Ken si consuma il conflitto tra generazioni. … un finale che riesce anche a commuovere, a chiusura di uno spettacolo cavalcato da Bruni (e dal suo giovane compagno) con agilità, precisione e il tocco sensibile di chi sa fare del teatro una festa del pensiero senza essere saccente e dell’emozione senza essere retorico.

 

Sara Chiappori, La Repubblica

 

Si ride. Molto. A volte raffinati, altre sguaiatamente. E allo stesso tempo, si entra in contatto con un tema non facile, affrontato senza elitarismi, con un ottimo utilizzo degli spazi scenici. Ma a stupire è l’artigianalità, silenziosa coprotagonista. Il mischiare i colori, il tendere una tela, lo sporcarsi anima e corpo, divengono azioni significanti quanto uno slogan. E rimandano a una sapienza manuale, un reale “fare” arte, che nulla hanno a che fare con certi eccessi del mercato.

Diego Vincenti, Il Giorno

Serrato, intenso e anche spiritoso com’è, si avvale di un’eccellente regia di Francesco Frongia, coronata dalla superba interpretazione di Ferdinando Bruni, adeguatamente coadiuvato da Alejandro Bruni Ocaña. Il successo incondizionato della serata dimostra, quando c’è la qualità, la disponibilità del pubblico davanti a proposte meno scontate di quelle consuete ai nostri prudenti cartelloni.

 

Masolino D’Amico, La Stampa