Ne Il Mercante di Venezia spicca tra tutti i personaggi la figura di Shylock, un carattere dalla fisionomia precisa e totalmente autonoma. Questa autonomia ha ispirato Camilla Ferro per la riscrittura di un monologo autosufficiente, anzi più precisamente di un “dialogo telefonico”.

Nel suo modernissimo ufficio, Shylock, ebreo e ricco uomo d’affari, gestisce lo sviluppo della vicenda interloquendo unicamente con telefoni, computer, calcolatrici, fax, fotografie, piante e libri. Solo e pervaso d’invidia, per Antonio e per i cristiani, manifesta al pubblico, che lo osserva con un gusto quasi voyieristico nella solitudine della sua gestione d’ufficio di rapporti umani e d’affari, le sue sfaccettature, che vanno dalla rabbia all’euforia, dal dolore ad una sorta di maniacale, ma non folle, organizzazione. Rispetto al testo originale – afferma l’autrice – è mantenuta l’alternanza tra temi familiari e non, lo spettatore dell’epoca di Shakespeare era cosciente delle tecniche dell’autore, ed era in grado di recepire il disgustoso passaggio dal dolore emotivo a quello economico. Qui vogliamo riproporre la stessa alternanza, cercando però di non ricadere in una blasfema condensazione tematica e lasciando allo spettatore la libertà di scegliere la propria visione del personaggio.

Una straordinaria prova d’attore: magnifico Paolo Sera in scena come Shylock, un’interpretazione d’alta raffinatezza, una cura preziosa d’espressioni, gesti, ritmi(…). Un evento di rara qualità anche per merito della realizzazione scenica di Carmelo Rifici, stimatissimo da tempo, riconosciuto finalmente tra i più grandi registi oggi in Italia, ottima la soluzione del confronto con il libro il Mercante tra le mani.

Valeria Ottolenghi