con Valentina Bartolo, Fausto Cabra, Enzo Curcurù, Paola De Crescenzo, Lino Guanciale, Alberto Onofrietti, Franca Penone, Francesco Rossini, Elia Schilton, Maria Grazia Solano, Marco Toloni, Nanni Tormen scene Tiziano Santi costumi Vera Marzot musiche Alessandro Nidi luci Claudio Coloretti direzione Karina Arutyunyan e Walter Le Moli

Gli incostanti di Thomas Middleton e William Rowley – tragedia già nota al pubblico italiano col titolo I lunatici – è uno dei più affascinanti ‘classici’ prodotti del teatro inglese del primo Seicento. Affascinante sin dal titolo, The Changeling, che indica, ad un tempo, mutabilità, movimento, scivolamento continuo da uno stato all’altro: un flusso, dunque, di incostanza e volubilità. Opera scritta a quattro mani in pieno clima giacomiano (1622-1624), ispirata ad una novella di John Reynolds, Gli incostanti racconta una dei grandi temi del rinascimento poi esaltato dal barocco, ovvero quello della follia d’amore: amore inteso come forza magica, come folle dialettica tra desiderio spirituale e passione carnale. Ma non solo: radiografando con scientifica precisione questi evanescenti – eppure potentissimi – personaggi, ci si imbatte in un mondo oscuro e folle, in cui le pulsioni sfrenate, intrecciate e giustapposte sullo sfondo di quel manicomio universale che è la vita, in virtù di uno stile secco ed efficace che coniuga sapientemente visionarietà ed esattezza, non si limitano a fornire una fosca cronaca del tempo, ma arrivano a tratteggiare un’aspra acquaforte della società loro contemporanea di sconcertante attualità. Protagonisti dell’universo squilibrato tratteggiato da Middleton e Rowley, in cui si è spento ogni barlume di intelletto, Beatrice-Joanna, De Flores o Antonio nel drammatico annodarsi dei loro sconvolti e smodati appetiti non ci parlano soltanto degli incubi dell’incipiente barocco, ma offrono un’agghiacciante fotografia del presente, tramato di voglie bestiali e primitive. Non per nulla, tramontata la fortuna secentesca, dopo secoli di silenzio, The Changeling rinasce sulle scene britanniche negli anni Cinquanta del secolo scorso, proprio in concomitanza con le prime affermazioni di quella drammaturgia ‘arrabbiata’ inglese – sviluppatasi poi per circa cinquant’anni fino ai recenti prodotti dei new hungry young men – che fa della volubile giostra di ogni genere di eccesso e bramosia la più fedele messa in scena della società contemporanea. Il nucleo stabile di attori si confronta con la riflessione sul potere, la follia, l’amore, già avviata con il Marat-Sade di Peter Weiss, e segna un nuovo capitolo nel confronto sistematico con il Barocco, che ha avuto un significativo precedente nell’allestimento alla Fenice di Venezia e al Teatro Carignano di Torino di Didone di Francesco Cavalli e Gian Francesco Busenello.

Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Fondazione Teatro Due, Teatro di Roma