Hanno appena concluso le repliche di Gyula, un successo che ha conquistato gli spettatori di Teatro Due anche grazie alle loro intense interpretazioni, e sono impegnati ora nelle prove di Ivanov, testo cecoviano che Filippo Dini sta allestendo per Fondazione Teatro Due e che debutterà la metà del mese prossimo… sono Orietta Notari, Nicola Pannelli e Sara Bertelà (lei non parte del cast di Gyula ma è Anna Petrovna in Ivanov), tre attori che, oltre a queste due belle avventure, condividono anche un altro gioiello scenico: Una specie di Alaska, che andrà in scena oggi, martedì 20 e domani, mercoledì 21 a Teatro Due alle ore 21.00, con la regia di Valerio Binasco (regista che il pubblico di Teatro Due conosce bene anche grazie alle sue recenti direzioni shakespeariane ospitate a Parma – La Tempesta e Il Mercante di Venezia).

una specie di alaska 3_foto Nep-PhotoRacconta Nicola Pannelli su Una specie di Alaska: “in questo spettacolo in scena ci sono tre attori in grado di lavorare sul minimo. La situazione scenica è intima, raccolta e per il pubblico l’impressione è di essere proprio dentro all’azione. Il testo di Pinter è tratto dal romanzo di Sacks che a sua volta ha raccontato delle storie vere per cui era importante portare tutta la verità possibile di questa piccola grande vicenda. La mia partecipazione è stata calibrata; c’era bisogno di una presenza sul filo, tra vicinanza e distanza, una sorta di ambiguità, perché il mio personaggio (il medico di Deborah e anche suo cognato) vive la vicenda scisso tra professione e umanità.  Il mio personaggio è una sorta di proiezione di Oliver Sacks, uno scienziato che gestisce un centro di ricerca specializzato in cure all’encefalite letargica, che ha dedicato tutta la vita a questi casi e che ha ora un rapporto non più solo professionale con Deborah. Ha usato la l-dopa (farmaco sperimentale usato per curare i casi di letargia di Sacks), per risvegliare Deborah e ora deve gestire il suo risveglio e aiutarla a mettere dei tasselli nella sua vita, nella sua scoperta del mondo, perché la ragazza possa ricostruire la realtà. La sua umanità s’intravede da piccoli dettagli.  Passa quasi tutto il suo tempo con Deborah pur essendo il marito della sorella che infatti dichiara “e io sono la sua vedova…” Insomma i rapporti in questo testo sono complessi, unici, spietati, fortissimi, profondi. E seguono la parabola non lineare del risveglio di Deborah. E’ lui che incastra i mattoni più pesanti, uno dopo l’altro, nel muro di conoscenza che la protagonista deve ricostruire ed è lui che può e deve farle accettare la realtà, anche con spietatezza se necessario.  La cura , l’amore che ha per lei e il rigore medico sono in lui due facce della stessa umanità”.

E rispetto al lavoro d’attore fatto e a quello registico di Valerio Binasco, aggiunge: “Con Valerio mi trovo benissimo ed è un regista di riferimento per me; ormai lo conosco bene e sono in grado di raccontare e interpretare il suo mondo immaginario. Io amo sparire dentro i personaggi, mi piace nascondermi completamente dietro una maschera, possibilmente sempre diversa. Ci sono attori e attrici che portano in scena la loro personalità, a cui imprimono sfumature e azioni del personaggio, io invece cerco il più possibile di sparire”.

Orietta Notari, madre di Gyula, Zinaida Savišna in Ivanov e qui Poline, prosegue: “Il mio personaggio è la sorella della protagonista, Deborah, una 40enne che si è addormentata adolescente. La sorella l’ha assistita tutta la sua vita, è stata presente dalla prima manifestazione della sua malattia ed è presente al suo risveglio dopo quasi 30 anni di sonno per l’encefalite letargica. Possiamo immaginarci tutta la dedizione la rabbia l’apprensione di Poline dunque… perché mentre Deborah dormiva, la sua famiglia spegneva la sua vita, dato che la sua malattia ha condizionato le sorti di tutti intorno a lei. La sorella più grande non si è sposata e assiste il padre ormai cieco, mentre Poline assiste Deborah. La mamma non c’è più. Pinter trasforma un caso clinico, usando il saggio di Sacks, in un capolavoro di drammaturgia teatrale, con molti livelli di lettura. Colpisce anche l’incredibile occasione che il testo offre per specchiarci noi, a nostra volta, nelle vite dei personaggi, rivederci come eravamo da piccoli e realizzare cosa siamo diventati da grandi. Deborah non è mai cresciuta, mentre la sorella più piccola è ora una donna fatta. Il pubblico ha cosi l’occasione di vedere concentrato in uno spettacolo il tempo di una vita che trascorre. Questo è il prodigio di Pinter, che nel testo svela a poco a poco la situazione e dà allo spettatore le informazioni centellinate, creando una collaborazione tra pubblico e attori nella costruzione della storia, e vivificando l’immaginazione di ciascuno.

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E sul suo lavoro prosegue: “lo vivo molto intensamente e verbalizzarlo, razionalizzarlo non è semplice. Fare l’attrice significa essere sempre in divenire, non smettere mai di studiare e di imparare… Poi il teatro è un’arte collettiva e la creatività degli altri è in continuo dialogo con la tua. Lavorare con Valerio è stupendo perché lui è un maieuta, è un curioso del mondo e del tuo mondo interiore e sa come estrarlo. La cosa più affascinante di questo lavoro è la presenza, il qui ed ora che il teatro implica. Io ho iniziato a 19 anni con la scuola di recitazione e da sempre ho avuto questa passione, per poter farmi tramite e raccontare le storie degli altri, avendo una funzione anche fortemente sociale”.

Sarà Bertelà, che in Ivanov sarà Anna Petrovna, in una precedente intervista ha avuto occasione dichiarare: “Assistiamo a un grande ritorno all’opera di Cechov, anche se penso che in Italia non abbia mai avuto grandi riscontri, almeno non quanti mi sarei immaginata. Non dimentichiamo che da Cechov viene tutto: Pinter, Beckett, Jon Fosse o Paravidino. Cechov, per me, ha iniziato il teatro contemporaneo: è vicino a noi, non solo è il mio autore preferito, ma è uno che vorresti conoscere, vedere spesso, uscirci a cena…”.

Una-specie-di-Alaska-Binasco-Bertelà-4In Una specie di Alaska è Deborah, la protagonista:  “Pinter è un altro autore che amo. Vorrei farlo sempre. Riprendo da anni Una specie di Alaska, ma mi sorprendo veramente ogni sera: accade ad ogni replica, alla fine dello spettacolo mi rendo conto che ha preso luce una battuta e non un’altra. È un percorso sempre differente. La scommessa della scelta interpretativa, ideata nel 2009 da Valerio Binasco, è maturata tantissimo, è cambiata nel corso degli anni, così come sono cambiata io. Oggi sono più leggera, e al tempo stesso più piena. La scommessa, sera dopo sera, è stare nel vuoto: attraverso un training fatto di respirazione profonda e rilassamento estremo, cerco di trovarmi ogni sera da capo, di svuotarmi ogni volta, di aspettare che le emozioni arrivino e tutto accada nuovamente. Ovviamente il vuoto non è mai totale, perché parallelamente devi avere una concentrazione fortissima, grazie alla conoscenza della storia e alla presenza dei tuoi compagni. È il desiderio di una recitazione che cerca di non ripetersi mai, di uscire dall’abitudine e di ritrovare il nuovo ogni volta. È la concentrazione sulla storia e sui compagni che ti permette di fare questo. E’ la mia ricerca: cerco di fare tutto ciò sempre con onestà estrema. Accade dunque, per Una specie di Alaska che di sera in sera si metta a fuoco una parte dello spettacolo o una sola battuta, e di rendermi conto che in quella battuta c’è il senso del tutto. Questo è possibile anche grazie ai miei compagni di gioco, che si fidano. In Pinter una frase rimane dentro, rimbalza, risuona, e può sintetizzare il testo. Me ne sono accorta anche dalla risposta del pubblico: sentono con me e i miei compagni le sfumature della scrittura di Harold Pinter, di cui amo particolarmente gli atti unici, perché non danno risposte. E sia come spettatore, come attore o regista ti chiedi continuamente quale sia la risposta. E la risposta è la costante ricerca del senso delle cose.  La stessa che ritrovo in Ivanov, che stiamo provando con Filippo Dini”.