IVANOV

di Anton Čechov

con

Nicolaj Ivanov  Filippo Dini
Anna Petrovna  Sara Bertelà
Conte šabel’skij  Nicola Pannelli
Pavel Lebedev  Antonio Zavatteri
Zinaida Savišna  Orietta Notari
Saša  Valeria Angelozzi
Dottore L’vov  Ivan Zerbinati
Marfa Babakina  Ilaria Falini
Michail Borkin  Fulvio Pepe

 Kosych  Filippo Dini
Avdot’ja Nazarovna  Sara Bertelà
Primo ospite  Fulvio Pepe
Secondo ospite  Nicola Pannelli
Gavrila  Ivan Zerbinati 

musiche Arturo Annecchino, Luca Annessi (assistente)
scene e costumi Laura Benzi
luci Pasquale Mari
assistente alla regia Carlo Orlando

regia Filippo Dini

produzione Fondazione Teatro Due, Teatro Stabile di Genova

 

Premio le Maschere del Teatro 2016 per la Miglior Regia
Premio della Critica ANCT 2016 a Orietta Notari

dal 2 al 4 dicembre 2016
PistoiaTeatro Manzoni

dal 6 all’11 dicembre 2016
TorinoTeatro Carignano 

dal 13 al 18 dicembre 2016
NapoliTeatro Bellini

20 dicembre 2016
Cuneo – Teatro Toselli

10 gennaio 2017
PergineTeatro Comunale di Pergine

11 gennaio 2017
RoveretoTeatro Zandonai

dal 12 al 15 gennaio 2017
CesenaTeatro Bonci

17 e 18 gennaio 2017
CremonaTeatro Ponchielli

dal 20 al 22 gennaio 2017
RiminiTeatro Novelli

24 gennaio 2017
PaviaTeatro Fraschini

28 e 29 gennaio 2017
RavennaTeatro Alighieri

Ivanov è la prima delle grandi opere teatrali di Anton Čechov, scritta nel 1887, all’età di 27 anni, essa racconta l’ultimo anno di vita di un uomo, che si trova a fare i conti con la propria incapacità di vivere, la sua inadeguatezza verso il mondo che lo circonda e la irrimediabile perdita di ogni speranza nei confronti della vita. La commedia è la sua lotta contro ognuna di queste forze, che lo ostacolano quotidianamente nei rapporti con i suoi amici, con i suoi nemici, con sua moglie. Essendo una commedia scritta in età giovanile, Ivanov possiede una portata dirompente di emotività e di erotismo che la rendono carica di un fascino irresistibile. La sua poetica si esprime a tinte forti e la violenza delle situazioni e dei rapporti esplode con brutalità, fino alla morte.

Il personaggio di Ivanov è da iscriversi in un filone di tanta letteratura russa dell’ottocento (dal Jevgheni Onieghin di Puškin in poi) in cui il protagonista è proprio l’uomo superfluo, come si autodefinisce Ivanov, che non riesce ad applicare le proprie energie alla vita e la cui originalità risiede proprio nella lotta per non soccombere al proprio destino.

Le sue aspirazioni intellettuali, unite al senso d’impotenza, fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi. Anna, sua moglie, per sposarlo ha abbandonato la propria famiglia e la religione ebraica, ma presto si ammala di tubercolosi. Saša, giovane figlia di facoltosi vicini, ama Ivanov, e dopo la morte di Anna tutto è pronto per le nuove nozze. Ivanov però avverte la propria inadeguatezza di fronte a questo amore e all’ultimo momento sfugge al nuovo impegno… Intorno a loro si muove un’umanità disillusa, priva di ideali e senza speranze nel futuro: un microcosmo in cui gli uomini sono condannati all’esistenza, in cui ognuno tenta disperatamente di sopravvivere alla noia interiore e guarda al passato con pietosa indulgenza, un’umanità di figure grottesche che si logorano a vicenda.

“Di Ivanov si è detto e scritto moltissimo – racconta il regista Filippo Dini – e si è insistito sull’incapacità del protagonista di gestire i rapporti sociali e sentimentali, sul suo male di vivere e la sua insoddisfazione patologica, in breve si è molto discusso della sua depressione. Tutto ciò credo ci abbia un po’ allontanato dalla comprensione della sua vera natura.

Ivanov trascina tutti nel tunnel nero dell’inattività, della paralisi mentale e spirituale, tutti lottano contro di lui o tentano di guarirlo, fino all’estremo sacrificio. Ivanov è il virus letale della sua società, è il simbolo della malattia che si genera all’interno di quel ristretto gruppo di esseri umani che agiscono nella commedia. Ivanov è al tempo stesso anche la cura del suo mondo, in quanto mette tutti di fronte a se stessi, ai propri limiti, alla propria povertà, dando ad ognuno l’occasione per la salvezza personale. Ogni personaggio si pone in relazione a lui secondo le proprie capacità o la propria propensione; nessuno rimane estraneo a questo confronto.

Ivanov rappresenta la fine di ogni amore, non disillusione o delusione, ma la fine di ogni amore, per le leggi umane e divine, per gli uomini, per gli ideali, e quindi è la fine di ogni speranza. Cechov ci esorta a confrontarci con lui costantemente. Instaurare un dialogo con il nostro Ivanov, quello dentro di noi, mettersi in relazione con lui, capire bene chi è, osservarlo, comprendere qual è la nostra attitudine nei suoi riguardi, rappresenta la provocazione che Čechov ci propone”.

E prosegue: “La grande sfida del nostro allestimento è aver scelto un cast di solo 9 attori, fra i quali vorrei si generasse un gioco interno attraverso i doppi ruoli, per creare una sorta di secondo mondo parallelo, di doppio deforme, creando dei caratteri altri, un insieme di figure mostruose e grottesche che circonda Ivanov e gli altri personaggi.

L’immortalità di questo testo e la sua bruciante contemporaneità sta proprio nella descrizione di una ”umanità alla fine”, una società sull’orlo del baratro, che avverte l’arrivo di un’apocalisse, che di lì a poco spazzerà via tutto il mondo per come lo abbiamo conosciuto fino a quel momento, di lì a 30 anni, infatti, ci sarà la Rivoluzione, e anch’essa sarà causa o effetto (a seconda dei casi) di tante rivoluzioni in Europa. Attraverso la figura dell’uomo inutile, che non riesce a spingere il proprio cuore oltre la paralisi del proprio mondo, e la propria volontà oltre l’immobilismo, Ivanov racconta la crisi e il declino di un’intera società e di un’intera epoca. La fine di Ivanov, auto inflitta ovviamente, che arriva al termine della commedia, è la fine del nostro Ivanov, quello dentro di noi, che abbiamo visto scalpitare e soffrire e cercare di risollevarsi infinite volte, l’abbiamo visto credere in nuovo innamoramento e in una nuova speranza, la speranza di ritrovare l’energia per ricominciare a lavorare e insieme per combattere gli inetti, i volgari, i malfattori. Abbiamo avuto pietà della sua debolezza, del suo dimenarsi ridicolo e appassionato. Fino alle estreme conseguenze. Dobbiamo attendere con pazienza il suicidio del nostro Ivanov, non lo possiamo uccidere perché è imbattibile, dobbiamo aspettare che nella totale consapevolezza, ormai raggiunta alla fine della commedia, debba desiderare la propria morte, solo così potremo godere della rinascita, solo così potremo tornare alla vita, alla speranza e all’amore.”