Avidità, vendetta, potere, denaro, corruzione… tutta la sporcizia umana che emerge con prepotenza dal fondo degli animi e invade una scena povera, scarna e scura; rifiuti solidi urbani e rifiuti interiori collettivi premono sulle strade e sulle coscienze di ciascuno, in uno spazio che sta per esplodere: così il pubblico incontra questo allestimento de La visita della vecchia signora, un classico del 1956, una fra le opere più conosciute di Dürrenmatt. Disposto intorno a un crocevia di strade della cittadina di Güllen (“letamaio” in dialetto), il pubblico diventa spettatore e allo stesso tempo parte in causa del dramma, perché con la comunità in scena condivide istinti e passioni, e come loro è vittima della stessa crisi economico e sociale, morale ed etica; come loro è pavidamente parte di un gruppo in cui ci sarà sempre qualcun altro a prendere l’iniziativa.

Attivatore di tutte le dinamiche, figura che si staglia su questo sfondo cupo, divinità che interviene nella vita dei poveri mortali e muove i fili delle loro vite è Claire Zachanassian, la vecchia signora appunto, tornata a visitare la sua città natale per vendicarsi di Alfredo, suo ex fidanzato che negò la paternità del bambino che lei portava in grembo e che corruppe due ubriaconi perché dichiarassero in tribunale di aver avuto rapporti lei. Claire negli anni in cui è stata allontanata dalla cittadina ha accumulato uno straordinario patrimonio con una serie di fortunati matrimoni e offre ora un miliardo di franchi al paese per l’omicidio di Alfredo. Un personaggio addolorato e disilluso, che porta in sé la disperazione cristallizzata in vendetta, un monstrum che incarna la sfida e la solitudine, un’aggregazione di parti dotata di una fisicità che la rende diversa e grottesca, minacciosa e dolente al tempo stesso.

Elemento dominante è l’umorismo amaro, noir e cinico di chi ride per le disgrazie comuni.

Questo testo è un classico ed ha la forza dei sentimenti universali, delle dinamiche sociali eterne alla base della vita in comunità, ovunque ci si trovi, nell’Italia degli anni 2000, o nella cittadina del testo, centro culturale di primo piano caduta in una situazione di abbandono e di crisi. Una crisi che porta con sé una feroce e disastrosa degenerazione dei valori e dei rapporti, o che forse, semplicemente, fa emergere la naturale disposizione dell’individuo.

 Alessandro Averone