CASSANDRA
o del tempo divorato

drammaturgia di Elisabetta Pozzi con il contributo di Massimo Fini

con Elisabetta Pozzi

cura del movimento Alessio Maria Romano
scene e costumi Guido Buganza
musiche Daniele D’Angelo
luci Luca Bronzo

regia Elisabetta Pozzi

produzione Fondazione Teatro Due

Arena Shakespeare

27 giugno 2018, ore 21.15

Ispirandosi alle riletture del mito antiche e moderne (da Euripide a Christa Wolf), Elisabetta Pozzi porta in scena la figura mitica di Cassandra, mettendone in luce la strabiliante modernità.
La profetessa troiana a cui Apollo ha dato il dono di prevedere il futuro, e insieme la condanna a non essere creduta, è infatti una delle figure femminili del mito greco di più profonda tragicità – per l’impotenza, l’impossibilità di condivisione, la forzata solitudine nel sostenere il peso della conoscenza – in cui convivono, come in ogni donna, forza e fragilità.
Lo spettacolo procede attraverso memorie letterarie che riguardano Cassandra, un collage di testi ricordati, assemblati da un personaggio che si prende il carico di essere Cassandra e di portarla avanti nel tempo fino ai giorni nostri.
Prendendo avvio dalla Cassandra di Christa Wolf, l’attrice approda al ‘Monologo per Cassandra’ di Wislawa Szymborska, passando attraverso la magnifica poesia di Ghiannis Ritsos e navigando poi tra i testi degli autori classici da Omero ad Eschilo, Euripide e Seneca.
La drammaturgia dello spettacolo si avvale del contributo di Massimo Fini con cui l’attrice ha costruito il finale, una sorta di tragico epilogo in cui Cassandra vede il futuro dell’ uomo moderno con la sua incapacità di porsi dei limiti e che è ormai ‘diventato un minuscolo ragno al centro d’una immensa tela che si tesse ormai da sola e di cui è l’unico prigioniero.’
Daniele D’angelo ha creato per lo spettacolo un accompagnamento musicale originale, una tessitura di suoni e musica che sostengono l’intero testo , diventandone il filo rosso e su cui si innestano i movimenti coreografici di Alessio Romano.

Potente e leggera Elisabetta – Cassandra scorre passato presente e futuro come un ciclo che torna. Con sapienza a lungo maturata la tensione interiore si apre in voce, passa dal bassofondo del vaticinio al canto, poggia su sonorità arcaiche o ritmi spezzati della musica di Daniele D’Angelo. E il corpo danza tra macerie di legni e di lutti non solo di Troia ma dell’umanità che si è “divorata il futuro”.

Claudia Provvedini, Corriere della Sera

 

Cassandra ci parla dall’estremità del tempo “divorato”, dal limitare dell’eterno, dall’oblio in cui è immersa da sempre perché lì è stata condannata a riposare: la profetessa non vuole portare più verità, ma solo la predizione inutile di ciò che è stato, la paura per ciò che potrebbe essere.
Ci parla di noi: di noi che divoriamo il tempo con voracità animale, che crediamo di andare incontro al progresso che tutto deve cancellare (anche ogni diversità e differenza), che siamo infastiditi dal nemico introiettato nella città, da chi afferma il vero che fa male, da chi preferiamo eliminare senza dolore.
“Come si può essere così ciechi?”: il grido di Cassandra è per noi.
Per noi che accettiamo i cavalli di Troia e coviamo virus che chiamiamo doni.
Per noi che ci sentiamo benedetti dal dio giusto.
Per noi che non sbagliamo.
Per noi forse destinati a scomparire senza averne coscienza.

Clizia Riva