Florian Borchmeyer, dramaturg della Schaubühne di Berlino, è stato coinvolto per adattare il romanzo Tempo di seconda mano di Svetlana Aleksievič per il teatro. Il suo adattamento distilla l’essenza del testo e ne potenzia la polifonia intrecciando monologhi, dialoghi e voci corali che si articolano tra racconto ed evocazione. Lo abbiamo incontrato per parlare del testo e del lavoro che ha svolto:

Quali sono i nodi drammaturgici attorno a cui ha costruito l’adattamento? Monologhi, dialoghi e voci corali si intrecciano; quanto la struttura dell’opera originale ha influito sull’adattamento?

Non ho lavorato secondo una stesura schematica della drammaturgia, inoltre non si tratta di uno spettacolo dalla drammaturgia classica in cui un personaggio ha un suo sviluppo dall’inizio alla fine; ciononostante, abbiamo cercato di rendere ogni attore, nonostante i vari ruoli interpretati, una persona lineare. Ci sono momenti in cui accade non soltanto una storia, ma tutte le storie insieme, coinvolgendo tutti i personaggi. Nello specifico, possiamo dire che ci sono due nodi, in senso metaforico e concreto, che portano tutti i fili ad unirsi, e sono due punti temporali: il primo è l’anno 1937, un momento in cui tutti si confrontano con il proprio passato staliniano, con un particolare riferimento ai campi; l’altro nodo è il momento del putsch di agosto contro Gorbačëv nel 1991, importante per i personaggi, per le loro vite e per la loro comprensione della storia.
La struttura del libro è costituita, apparentemente, da una serie di monologhi, anche se, in realtà, dentro ad ogni capitolo c’è un personaggio principale contornato da altri, che possono essere anche tre o quattro figure. La resa formale più immediata sarebbe stata una serie di monologhi articolati in una scena dopo l’altra, un modello molto statico che non avrebbe funzionato. Ho provato sin dall’inizio a trovare il modo di rompere la struttura monologica per cercare la pluralità di voci che si nascondono all’interno del testo. Ci sono momenti in cui è molto facile, perché la persona che racconta il fatto vissuto lo presenta tramite dialoghi in cui vengono riportate le varie voci, ma altri momenti hanno richiesto maggiore creatività.
Nella prima parte del libro parlano due amiche di vecchia data, appartenenti a posizioni politiche opposte, una comunista vecchio stampo da un lato, e dall’altro una persona che ha partecipato alle manifestazioni in favore del cambiamento per l’Unione Sovietica. L’unico modo per salvare la loro amicizia è non parlare mai di politica: infatti, nel testo di Aleksievič i loro sono monologhi, attraverso cui, in realtà, dialogano. Io ho cercato un modo di trasformare questi monologhi in un dialogo che non è mai successo. Allo stesso modo ho messo insieme monologhi diversi che raccontano le stesse esperienze, trasformandoli, così, in cori, una struttura non presente nel romanzo.
Le parole invece sono al 95% identiche al testo del libro, come anche la linea temporale della struttura generale, che è storica: si parte dall’inizio degli anni ‘90, poi il tempo staliniano e poi le storie che vanno via via verso la contemporaneità.

 

L’intervista completa a Florian Borchmeyer è disponibile nel programma di sala dello spettacolo, acquistabile in Teatro.
Tempo di seconda mano debutta in Prima nazionale il 25 marzo.