Un balletto per eccellenza e un fiasco per eccellenza. Alla sua prima rappresentazione “La Sagra della Primavera” è stata un insuccesso, ha provocato una rissa.
Perché è un’opera d’avanguardia, giovane, nata per distruggere le tradizioni. Si dice che la musica contemporanea sia nata con essa.
Stravinskij dichiarò che ebbe una visione prima di scrivere quest’opera: un rituale in cui un cerchio di anziani saggi osservava una vergine che doveva danzare fino a morire. Una meravigliosa metafora del nostro tempo, di questa generazione che attende obbligata allo stallo, osservata, spiata, pesata, vergine perché impossibilitata a fare da sola.
Ora l’urgenza è più grande. La nostra generazione non può più attendere, f***off!
I cicli naturali si invertono, i vecchi ci osservano e noi invecchiamo senza sbocciare, in uno stallo esistenziale che ci chiede sempre di attendere pazienti e comprensivi, facendoci credere che sia naturale. Non è naturale.
Lasciamo definitivamente i padri, come si lascia l’inverno e smettiamo di essere figli. Che il rito propiziatorio avvenga con il nostro sudore che ha nutrito la pazienza. E’ il nostro tempo e ce lo riprendiamo. Gli antenati saranno d’accordo con noi.

Il sacro della primavera è un lavoro di gruppo, ma nella grande corsa si è perdutamente soli. Il corpo si sbilancia, cade nel desiderio di abbracciare tutto lo spazio “digeribile”. Ci si sposta, ci si incastra per rimanere in piedi, aggrappati gli uni agli altri, ci si aggroviglia, si cammina sugli altri, ma non è sopraffazione, è sostegno, urgenza, compassione.
Ognuno perde forza ma solo per brevi attimi, subito rimesso in piedi dagli altri.

Stravinskij mescolato al resto dei suoni del mondo. Alla grande cacofonia.
Un dj set con irriverenti incursioni, per dissacrare la “Sagra” e reinventare un nuovo “Sacro”.

Balletto Civile