LA PRIGIONE
Dal testo originale The Brig di Kenneth H. Brown

con
Luca Cicolella,
Lucio De Francesco,
Luca Filippi,
Lorenzo Frediani,
Gabriele Gattini Bernabò,
Michele Lisi,
Dino Lopardo,
Alessandro Maione,
Nicola Nicchi,
Massimo Nicolini,
Gian Marco Pellecchia,
Gabriele Pestilli

preparazione vocale
Francesca Della Monica
luci
Luca Bronzo
realizzazione spazio scenico
Mario Fontanini
realizzazione costumi
Elisabetta Zinelli

regia
Raffaele Esposito

produzione
Fondazione Teatro Due

Spazio Shakespeare

dal 23 febbraio al 12 marzo 2017

Nel Marzo del 1957 Kenneth H. Brown, allora marines dell’esercito degli Stati Uniti viene rinchiuso per 30 giorni in una struttura detentiva all’interno del campo militare di Okinawa in Giappone. Tornato a casa scrive The Brig, come in gergo veniva chiamata la prigione, testo drammatico scarno, crudo e violento, che descrive una giornata all’interno del carcere militare,privo di una vera trama, ma estremamente dettagliato nella descrizione della rigidità della struttura militaresca e della brutalità fisica e psicologica che vige fra le mura di the brig.
Kenneth Brown invierà il testo al Living Theatre, gruppo newyorkese di artisti anarchici guidati da Julian Beck e Judith Malina, che lo metterà in scena nel 1963, segnando definitivamente la storia del gruppo. The Brig va in scena nel Teatro della Quattordicesima Strada ma le repliche vengono interrotte, il teatro chiuso ad opera del Fisco statunitense e Julian Beck e Judith Malina rinchiusi in prigione.

Il testo vedrà altre messe in scena, ma l’esperienza del Living rimarrà la più significativa non solo dal punto di vista teatrale.

 

All’indomani di un conflitto bellico mondiale e appena prima della Guerra in Vietnam un gruppo teatrale formato da giovani artisti statunitensi decide di mettere in scena a New York uno spettacolo sulla violenza e sulle barbarie che l’uomo sa creare per controllare e piegare l’uomo.
Poi vennero gli anni ’70.
Gli anni ’80.
I ‘90 e il nuovo millennio.
Fino ad Ora. Sessant’anni circa di cinema e documenti antimilitaristi, sessant’anni in cui il mondo è profondamente cambiato.
La guerra è diventata un concetto astratto, fatto televisivo, il dolore e la morte sono tenuti lontani dal nostro quotidiano, dall’orizzonte delle possibilità. In una società che ha preferito la tecnica alla conoscenza, che ha barattato i cinque sensi con vuoti surrogati, che martirizza le sue giovani generazioni.
Ha senso provare a mettere in scena questo racconto? Come? Di cosa parla in realtà? Sarà necessario fare i conti con la messinscena newyorkese? Quanto sono cambiate le coordinate originali? Come è cambiato il rapporto con il pubblico? Cosa è la violenza oggi? Come metterla in scena? Come l’uomo si disumanizza? Cosa è un essere umano? Di queste domande si nutrirà, credo, la nostra azione teatrale.

Raffaele Esposito

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