L’ampiezza del respiro e la straordinaria fusione di una molteplicità di rapporti sullo sfondo di un disegno compatto fanno annoverare senz’ombra di dubbio Storie del bosco viennese fra i classici del teatro moderno, un capolavoro che segna per Horváth il ritorno esplicito all’orizzonte della Vienna asburgica della sua infanzia. Una Vienna sconfitta, pauperizzata, bazar di espedienti e di svendite, mercato delle ideologie in forme tali da consentire agli ex cittadini dell’impero asburgico di nobilitare la bassezza, la crudeltà fisica e mentale che aspettano solo che il nazismo prenda forma per scatenarsi.
Con esplicito riferimento al valzer omonimo di Strauss, Horváth ha composto nel 1931 questa commedia popolare che gli valse il Premio Kleist: il dramma racconta le vicende di un popolino alle prese con ambigue relazioni famigliari, amorose e commerciali; protagonista è una giovane donna, Marianne, che manda in fumo il fidanzamento organizzatole dal padre, venditore di giocattoli, con Oskar, macellaio, perché innamoratasi di un damerino di nome Alfred, uno scommettitore perdigiorno che non ha intenzioni molto serie nei suoi confronti. Un errore che le costerà caro e che la vedrà trascinata nella vergogna e nella miseria.
Sottratta l’ironia che vela tutto il testo e lasciate sullo sfondo le aggrovigliate vicende da operetta, Fiabe del bosco viennese rivela la sua natura duramente politica e denuncia con sarcasmo e cinismo le debolezze e i vizi dei piccolo borghesi dell’epoca. Con la leggerezza e la vivacità che contraddistinguono la moda musicale e teatrale dei primi ’900, Horváth mette in scena una sorta di “espressionismo fantastico”, con cui demistifica il suo tempo e in cui i protagonisti sembrano figure sbalzate fuori dalla Storia, senza più alcun punto di riferimento etico o morale, sagome pittoriche dai tratti marcati, estratte dallo sfondo del quadro in cui erano state ritratte.
“Nulla quanto la stupidità dà il senso dell’infinito” recita un epigramma del testo, riassumendo l’agrodolce vicenda di Marianne e dei suoi compagni di sventure, tutti affannati in una tragicomica rincorsa del fato, un destino che porta in seno tutti i presupporti del nazional-socialismo incipiente. Fiabe del bosco viennese si configura dunque come una satira amara sulla menzogna e la brutalità, l’ipocrisia e la violenza dei cittadini dell’ex Austriae felix, riflettendo le angosce di un’epoca in piena crisi globale, non così distante da quella che strangola l’Europa dei nostri giorni.
produzione Fondazione Teatro Due
LE FIABE DEL BOSCO VIENNESE
di Ödön von Horváth
con Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Marco De Marco, Raffaele Esposito, Sergio Filippa, Francesco Gerardi, Luca Nucera, Tania Rocchetta, Federica Sandrini, Massimiliano Sbarsi, Paolo Serra, Nanni Tormen e con Sabina Borelli, Camilla Nervi, Anna Laura Penna, Chantal Viola
scene Laboratorio Progettazione Scenica Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche del Teatro, Università IUAV di Venezia Luca Giombi, Giovanna Pozzato, Martino Zabeo Tutor Margherita Palli, Alberto Nonnato (assistente)
consulenza musicale Alessandro Nidi
luci Claudio Coloretti
costumi Gianluca Falaschi
direzione Walter Le Moli