LA DISPERAZIONE.
SECONDO EPISODIO.

di Paolo Nori

SPAZIO BIGNARDI
15 / 22 ottobre

durata 80 minuti

con Paolo Nori
e con Alessandro Nidi / Alessandro Zezza, Andrea Coruzzi, Filippo Nidi

musiche Alessandro Nidi
luci Luca Bronzo

a cura di Paola Donati

Nuova produzione 2025/2026
Fondazione Teatro Due

Dopo La libertà. Primo episodio. in cui Paolo Nori ha intrapreso un discorso intimo, ma collettivo, sulla libertà, in dialogo con alcune figure straordinarie della letteratura russa, il percorso dell’autore in teatro prosegue con un secondo episodio. Questa volta imperniato sulla sua vita, sulle due volte in cui è morto e sulle motivazioni profonde che muovono il suo scrivere.

Comincia così:

Musica, l’internazionale in russo, magari, entro io e spengo la musica dal registratore che c’è nel mezzo.
Ecco.
Allora.
Facciamo così: mi presento, una breve introduzione, lo spettacolo, se così si può dire, cioè il centro della questione, e una conclusione.
Allora mi presento.
Una biografia.
Quando mi chiedono una biografia, io di solito gli rispondo che mi chiamo Paolo Nori, sono nato a Parma nel 1963, abito a Casalecchio di Reno e di mestiere scrivo dei libri.
Ormai son trent’anni, quasi, che di mestiere scrivo dei libri.
Dopo faccio anche delle altre cose, per esempio recito, se così si può dire, ma non sono sicuro, sto recitando?
Traduco. Insegno a tradurre e insegno anche a scrivere, faccio dei corsi di scrittura e uno dei compiti che do a quelli che si iscrivono a questi corsi di scrittura è: perché scrivi?
Che è una domanda che, se te la fanno dopo che hai pubblicato, e te la fa magari anche uno che ha letto un tuo libro, sottintende un’altra domanda, Ma perché, magari, non fai qualcos’altro, che scrivere non ti viene benissimo? Perché ti sei fissato che vuoi scrivere?
Che lì rispondere è difficile.
Io, comunque, l’han fatta a tutti, quella domanda lì, e Luigi Malerba ha dato una risposta che mi piace molto, Per capire quello che penso.
Che uno che non ha mai scritto pensa che si scrive quando si è già capito quello che si pensa, che si scrive per diffondere il proprio pensiero, per illuminare, invece io, son d’accordo con Malerba, si scrive perché si è ciechi, perché non si capisce una mazza e la scrittura, se arriva in quella forma lì sua luminosa, che ha, delle volte, è la scrittura, che ti dice dove andare.
Forse.
C’era una rivista tedesca,
Der Bilt, credo si chiamasse, che aveva fatto quella domanda a centinaia di scrittori in tutto il mondo: perché scrivi, e c’era un quotidiano italiano, Il Manifesto, che aveva tradotto le risposte e le pubblicava tutti i giorni, una al giorno, e io, quando ero un ragazzo, facevo le superiori, leggevo il manifesto, ogni tanto, non tanto per quello che c’era scritto, per come era fatto, che era un grande foglio piegato in quattro, qualche volta due grandi fogli piegati in otto, era un oggetto che mi dava soddisfazione, tenerlo in mano, e, non capivo tanto, di quello che c’era scritto, io di politica, era la fine degli anni settanta, il gergo politico era un po’, come dire, un po’ esoterico, le sovrastrutture, le convergenze parallele, non capivo bene, lo compravo proprio per com’era fatto ogni tanto c’era qualche articolo che capivo, che leggevo proprio volentieri e c’era una rubrica, che mi appassionava, Perché scrivi?
E mi ricordo, ho proprio l’immagine di me stesso, a Parma, che tornavo da scuola, e piedi, e, in viale Solferino, vicino al seminario minore, leggevo, camminando, il manifesto, e leggevo la risposta che aveva dato, a questa domanda, Gabriel Garcia Marquez: Perché quelli che mi vogliono bene mi vogliano ancora più bene.
E qualche mese fa l’ho chiesto ai partecipanti di uno dei corsi di scrittura che ho fatto Perché scrivi? e uno mi ha risposto «Perché chi legge le cose che scrivo dica che sono bellissime, e che io sono intelligentissimo, e sensibilissimo, e divertentissimo, e così acuto, e così ottuso, e così coinvolgente, e così sconvolgente, e così bravo, ma cosa dico così bravo», ha scritto quel ragazzo, «così bravissimo!».
Ecco.
E io ho avuto l’impressione che avesse fatto il mio ritratto. Ma all’inizio, quando me l’hanno chiesto a me, dopo che ho pubblicato i miei primi libri, nel 1999, quando mi han chiesto Perché scrivi?, la risposta che mi è venuta su dalla pancia è stata: «Per disperazione».

ph. Andrea Morgillo