LA LOCANDIERA

di Carlo Goldoni

Il cavaliere di Ripafratta – Emanuele Vezzoli
Il Marchese di Forlipopoli – Massimiliano Sbarsi
Il Conte d’Albafiorita – Nanni Tormen
Mirandolina, locandiera – Paola De Crescenzo
Comiche: Ortensia– Laura Cleri
e Dejanira – Cristina Cattellani
Fabrizio, cameriere della locanda – Luca Nucera
Servitore del Cavaliere – Sergio Filippa

costumi
e spazio scenico Gianluca Falaschi

luci Claudio Coloretti

regia Walter Le Moli

produzione Fondazione Teatro Due

Dal 17 al 20 novembre 2016
VeneziaTeatro Goldoni

La tradizione si intreccia e si confonde con la modernità nel capolavoro di Carlo Goldoni La Locandiera.
Sul finire del 1752, quasi al termine della collaborazione con il veneziano Teatro Sant’Angelo e con la compagnia del capocomico Girolamo Medebach, Carlo Goldoni compone il suo testo più celebre, una commedia in cui il denaro è il Leitmotiv che anima l’intera vicenda, l’ossessione e il tormento dei caratteri rappresentati.
Siamo a Firenze (forse per non insospettire il pubblico e la censura della Serenissima), in una locanda, la cui proprietaria, Mirandolina, riceve continue profferte amorose da parte di due aristocratici avventori, il Marchese di Forlipopoli e il Conte d’Albafiorita; incurante delle smanie dei clienti, Mirandolina concentra tutte le sue attenzioni sul misogino Cavaliere di Ripafratta, decisa a farlo capitolare, indispettendo così Fabrizio, cameriere della locanda, invaghito, a sua volta, della proprietaria. A complicare e insaporire la vicenda contribuisce l’arrivo di due commedianti, Ortensia e Dejanira, che, fingendosi dame, cercano di truffare i blasonati ospiti della locanda.
Sfrondata delle trine e dei vezzi, la vicenda raccontata da Goldoni ci offre un quadro della società a lui contemporanea assai animato da tensioni e rivendicazioni, in cui la decadenza della vecchia classe dirigente, ormai ridotta a parassita inerme, si scontra con il dinamismo di quel ceto borghese che di lì a qualche anno avrebbe squassato l’ordine costituito e dato nuovo corso alla Storia.
Liberata da ogni pretesa di naturalismo, e decisamente più volta ad una sintesi dei contenuti, la messa in scena ideata da Walter Le Moli snellisce la caratterizzazione “d’epoca” del testo e lavora fino a far emergere le sfaccettature più sociali e politiche, attraverso le quali ogni aspetto della pièce (e in particolare i personaggi, Mirandolina in primis) assume una veste più universale e meno relegata al contesto storico della Venezia settecentesca. In quest’ottica Goldoni appare in tutta la sua consapevolezza di drammaturgo oltre che di uomo del suo tempo, capace di coscienza critica e di lucidità nel dipingere i rapporti tra i personaggi del suo (e del nostro) mondo. Attualissima, la pièce apre una porta sulla supremazia del denaro nel mondo moderno, e sulle conseguenze di questo potere sull’equilibrio delle classi sociali, oltre che sull’universo personale e sentimentale. In questo senso Mirandolina, camaleontica interprete delle tensioni sociali curiosamente adunate nella sua locanda, risulta un personaggio che agisce da sapiente giocatore di scacchi, capace di trarre il massimo vantaggio all’interno di una situazione a tratti spinosa, sicuramente divertente, che cambia in ogni momento.

Credevamo di sapere tutto sulla Locandiera dopo le molteplici edizioni che si sono succedute ad opera dei maggiori registi italiani, ma sbagliavamo. Perché lo spettacolo varato da Walter Le Moli ci spalanca uno studio sul momento storico che ne ha visto la comparsa finora ignorata da qualsiasi teatrante. A cominciare dalla scenografia che rappresenta un mondo chiuso alla speculazione di chi vuole cambiarlo. Tanto che l’avvicendarsi del popolo e aristocrazia sembra consumarsi nel continuo sommarsi di addendi che solo in apparenza appaiono motivati dalla sequenza del racconto. Un perfetto apologo di sapore brechtiano vivificato dalla spregiudicata intelligenza della regia che illumina questo capolavoro.

Enrico Groppali

Credevamo di sapere tutto sulla Locandiera dopo le molteplici edizioni che si sono succedute ad opera dei maggiori registi italiani, ma sbagliavamo. Perché lo spettacolo varato da Walter Le Moli ci spalanca uno studio sul momento storico che ne ha visto la comparsa finora ignorata da qualsiasi teatrante. A cominciare dalla scenografia che rappresenta un mondo chiuso alla speculazione di chi vuole cambiarlo. Tanto che l’avvicendarsi del popolo e aristocrazia sembra consumarsi nel continuo sommarsi di addendi che solo in apparenza appaiono motivati dalla sequenza del racconto. Con una strepitosa Mirandolina (Paola De Crescenzo) di irresistibile coerenza che come un Divin Marchese in gonnella ha compreso l’immutabilità dei ruoli e delle classi sociali.
Un perfetto apologo di sapore brechtiano vivificato dalla spregiudicata intelligenza della regia che illumina questo capolavoro. Grazie anche alla perfezione del cast.

Enrico Groppali , Il Giornale

Carlo Goldoni dovrebbe essere una gloria nazionale, ma la sua geniale lungimiranza ha pagato fin dal principio lo scotto dei tanti pregiudizi: Croce e De Sanctis in primis. Sembra un paradosso, ma al padre del teatro moderno è stato spesso negato qualsiasi valore letterario: il suo corroborante naturalismo ha forse privato Venezia della sua maschera? Ha forse calato il sipario alle ipocrisie di una Serenissima che stava scivolando verso il totale disfacimento? Indubbiamente, dal momento che la forza poetica di Goldoni è straordinaria e potentissima ancora oggi: e lo dimostra la coinvolgente, intrigante, emozionante rilettura de “La locandiera”. Considerata dall’autore stesso la sua commedia “più morale, utile e istruttiva”, la sapiente regia di Walter Le Moli ha alzato il sipario a nuove interpretazioni, considerazioni e riflessioni: infinita materia racchiusa nel testo riportato integralmente: sta nelle mani del regista farla emergere. Sold-out per la prima nazionale che ha avuto una caldissima accoglienza con un pubblico che si è lasciato conquistare dal ritmo inarrestabile di una commedia perfettamente strutturata e di per sé piacevolissima e divertente al primo sguardo: innumerevoli poi le sfumature e le valenze politiche e sociali nell’ottica più approfondita.

Maria Cristina Maggi, Gazzetta di Parma

Un vortice di dialoghi, monologhi, riflessioni e azioni sceniche precise, profonde, dirette è “La Locandiera” di Goldoni messa in scena al Teatro Due di Parma del regista Walter Le Moli. Un “classico”, dunque, del Teatro, che rischia sempre di mettere in difficoltà attori e compagnie, ma che, in tale occasione, è emerso in una chiave tanto diretta quanto inedita. Il Goldoni del Due di Parma ha saputo parlare a ogni tipo di spettatore– dai più giovani ai più preparati– proprio perché, spogliato da ogni moina e artificiosità di cui di solito è arbitrariamente arricchito, è divenuto azione e ironia universale, potente e ben costruita in ogni dettaglio. In un dinamico susseguirsi di “quadri”, la commedia goldoniana del Teatro Due ci coinvolge con risate che sanno far riflettere, che sanno comunicarci tutto: la scenografia mobile di Gianluca Falaschi disegna spazi nuovi e inventa inedite prospettive, aiutando i personaggi a scrutarci da punti differenti, assolutamente interessanti. Gli interpreti, infatti, sanno parlarci da dietro alle spalle, ammiccando a noi che li stiamo seguendo, coinvolgendoci nelle loro riflessioni, nei nuovi progetti da attuare: “La Locandiera” di Goldoni è viva, vera, carnale. Niente è lasciato alla trascuratezza: dalle entrate a sorpresa ai costumi (particolarmente significativo è quello della protagonista, la cui sobrietà e grande sensualità sono ben sottolineati sia dal taglio sia dalla scelta cromatica in interna opposizione) a quella profonda riflessione sui “caratteri” da commedia, introdotta da Ortensia e Deianira, le “attrici” ben accolte (non a caso) da Mirandolina. Tutti gli interpreti sono sempre vivi e dinamicamente comunicativi: sembra di essere davanti a un grande coro che sa raccontare le differenze, ma che, in fondo, è compatto, generoso, tecnicamente abilissimo Una “Locandiera”, dunque, tanto fedele quanto universale, tanto leggera quanto ricca di spunti di riflessione sulla libertà, la crisi, l’“utile” e – come direbbe Manzoni– anche il “dilettevole”. Un grande esempio di teatro nel teatro accessibile a tutti, per niente chiuso agli addetti ai lavori.

Clizia Riva, Concretamente Sassuolo