Ne La tempesta gli aristocratici naufraghi ritornano verso l’Italia da Tunisi, dove il Re di Napoli Alonso ha fatto sposare la figlia con un africano. L’isola è un mondo intermedio. L’età dell’oro e l’utopia vi sono presenti sotto forma di desideri, di sogni o di promesse. Nessuno sfuggirà alle sue tentazioni. L’isola è luogo di verità.
Sull’isola ogni ambizione illecita è frustrata, come il fastoso banchetto che, prima di scomparire, sarà offerto da Prospero alle sue vittime. L’isola è un labirinto in cui i viaggiatori dirottati e divisi vanno errando e subiscono le prove inflitte loro da Prospero. L’isola è un libro di cui prospero è l’autore, il maestro del discorso e del senso.
Gli spettatori entreranno in pieno nella tempesta, poi si desteranno in mezzo ai naufraghi prima di vagare con loro in balia delle situazioni. Il sublime teatro in legno, edificato da un duca demiurgo quattro secoli fa per celebrarvi le sue nozze, ha festeggiato quattrocento anni più tardi il matrimonio della figlia di un duca stregone.
“Visitando il Teatro Farnese, mi è subito apparso che quello spazio fosse l’isola di Prospero.
Ne La tempesta si parla di esilio ed esclusione. Prospero è un escluso, potrebbe essere un artista – e per me la relazione tra l’artista e la sfera politica è forse il tema più importante – che mette in scena un’enorme macchina artistica finalizzata alla reintegrazione sociale della figlia. Si tratta di una metafora della legittimità: questa volta ottenuta o riottenuta attraverso la filiazione e quindi per mezzo di una dipendenza. Potrebbe definirsi una storia di rivalsa più che di vendetta: l’azione di un “machiavellismo del bene” in cui la discendenza è liberata dalla tara della colpa originaria.”
Dominique Pitoiset