In un’intervista con Gianni Minà, Luca De Filippo si confida e parla di tradizione. Dice che spesso ci facciamo erroneamente sovrastare da questo concetto, dal concetto di tradizione, e che lo vediamo come una prigione da cui bisogna per forza affrancarsi, liberarsi, fino a tradire la tradizione stessa in virtù del nuovo. D’altro canto esplorare la tradizione senza rinunciare alla propria identità, essendo eredi e allo stesso tempo interpreti originali, è cosa buona e giusta, e non c’è proprio niente di male nell’essere continuatori e innovatori nello stesso momento. Dette da lui, che è il figlio di uno dei più importanti artisti del teatro italiano del ‘900, queste sono parole importanti che fanno riflettere. Soprattutto perché il teatro di Luca De Filippo, e in particolare questa sua ultima regia, “Non ti pago”, è l’ideale continuazione di una pratica teatrale importantissima. Una pratica fatta di compagnie che mettono in scena testi di un autore che è anche capocomico, impresario, regista. In queste realtà, di cui De Filippo è stato forse l’ultimo vero rappresentante fino a poche ore prima della sua prematura morte (novembre 2015), la continuità tra testo e messa in scena è una vera e propria esperienza come non se ne fanno e non se ne vedono più, almeno nel teatro italiano. Perché sembrerà banale, sembrerà facile, ma nell’ottica di una compagnia uno spettacolo è un pezzo di vita, di famiglia. Nel vero senso della parola. Anche in virtù del fatto che “Non ti pago” era stato messo in scena per la prima volta nel 1940 proprio dalla compagnia “I De Filippo”, con i fratelli Peppino ed Eduardo, quest’ultimo nel ruolo del surreale protagonista Don Ferdinando. Più che doveroso, quindi, proseguire sulla strada tracciata da quest’uomo di teatro, figlio del grande attore e drammaturgo, che ha curato la regia, recitato, indicato l’attore che l’avrebbe sostituito, e ha seguito lo spettacolo fino all’ultimo momento prima di lasciare questa vita. Sì, perché in questo fare teatro il rapporto tra lo spettacolo e l’uomo che ne è regista e interprete è strettissimo; talmente stretto che la scomparsa di Luca De Filippo ha generato reazioni contrastanti, di rammarico ma anche di chiusura rispetto alla ripresa della produzione. La mancanza del suo nome nel cast ha spaventato? Forse. Certo è che uno spettacolo come “Non ti pago”, che è anche l’esempio di un modo di fare teatro nonché la dimostrazione di una trasmissione di saperi e di pratiche, ha ancora molto da dire. Una produzione che, come ricordano gli attori che la compongono, è essa stessa un vivo e vibrante ricordo di Luca e una testimonianza di ciò che può essere il teatro, se inteso come esperienza continua che vivifica la tradizione e la porta avanti nel presente, e nel futuro.