PENE D’AMOR PERDUTE

di William Shakespeare
traduzione di Luca Fontana

SPAZIO GRANDE
28 ottobre e 2 novembre, ore 20:30
29 ottobre e 5 novembre, ore 16:00

con Pavel Zelinskiy, Marco Fanizzi, Luca Cicolella, Stefano Guerrieri
Sara Putignano, Francesca Somma, Maria Laura Palmeri, Francesca Tripaldi
Salvatore Palombi, Marco Corsucci, Massimiliano Sbarsi, Maria Chiara Arrighini
Luca Nucera, Davide Gagliardini, Massimiliano Aceti, Irene Mantova

scene Fabiana Di Marco
costumi Ilaria Albanese
luci Luca Bronzo
elaborazioni musicali Enrico Padovani
assistente alla regia Marco Corsucci

regia Massimiliano Farau

produzione Fondazione Teatro Due

Quando il re di Navarra e i suoi sodali Birón, Longueville e Dumain, giurano di votarsi a tre anni di dedizione assoluta allo studio che prevedono l’esclusione di tutti i piaceri materiali e soprattutto la frequentazione dell’altro sesso, un doppio scacco li aspetta dietro l’angolo. Non solo si scopriranno in poche ore spergiuri, quando una delegazione composta dalla Principessa di Francia e da tre belle e soprattutto brillanti dame li faranno cadere innamorati all’istante; ma grazie a queste quattro “maestre d’amore” e ad un inattesa epifania del lato più doloroso della vita, comprenderanno anche la natura adolescenziale della propria visione dell’amore e dell’esistenza, e la vacuità del loro culto fanatico del linguaggio concettoso come mezzo di conquista erotica e di dominio della realtà. Nella veloce quanto incisiva educazione sentimental-esistenziale cui vengono sottoposti, il Principe, Birón, Longueville, Dumain, e con loro forse Shakespeare stesso – che in questa commedia tocca il vertice del proprio virtuosismo stilistico ma quasi con malinconia ne scopre anche il limite – non possono fare a meno di constatare una verità che secoli dopo Harold Pinter sintetizzerà così: “il linguaggio è un costante stratagemma per coprire la nudità”. E attraverso questa consapevolezza accederanno, forse, ad una saggezza diversa, ad una visione della vita e dell’amore che non cerca più di espungere il dolore a colpi di wit “eufuistico”, ma lo ingloba in una concezione più matura della condizione umana; una concezione fondata sulla consapevolezza della nostra fallibilità e finitudine; ed entro la quale la donna non è un territorio di conquista ma può diventare autenticamente (e letteralmente) con-sorte nell’affrontare anche le asperità e i lati meno luminosi della vita.
Con Pene d’amor perdute Shakespeare ha creato un teorema perfetto, sfrenatamente buffo ma anche screziato di una strana inquietudine, sui limiti dell’amore cosiddetto cortese (con tutto il suo apparato, in realtà, di metafore violentemente belliche per descrivere, appunto, la “conquista” della donna) e insieme di una idea della ricerca della verità come atto puramente intellettualistico di presa di possesso del reale (“penar su un libro in cerca d’una luce di verità? Vana ricerca invero!” afferma da subito Biròn). Due facce, a pensarci bene, della stessa attitudine predatoria verso il mondo e la donna, da cui noi uomini siamo troppo facilmente tentati.

Massimiliano Farau

ph. Andrea Morgillo