26 giugno 2019 ore 21.15
ARENA SHAKESPEARE
PROMETEO INCATENATO
di Eschilo
traduzione di Enzo Mandruzzato
traduzione di Enzo Mandruzzato
con Federico Brugnone, Andrea Di Casa, Ilaria Falini, Deniz Özdoǧan, Ivan Zerbinati
luci Luca Bronzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
regia Fulvio Pepe
assistente alla regia Francesco Lanfranchi
produzione Fondazione Teatro Due
Una delle tragedie più misteriose e particolari del Teatro Classico, un personaggio rimasto immortale nella memoria secolare e nella filosofia dell’Occidente, talvolta addirittura paragonato a una figura cristologica ante-litteram: Prometeo. Parte centrale di una trilogia andata perduta. Il Prometeo Incatenato non è solo il racconto della tortura inflitta al Titano che donò il fuoco agli uomini: è una profonda indagine umana sulla sofferenza, sul rapporto con il potere, sulla sopportazione.
Prometeo, il Titano ribelle, viene incatenato ad una rupe ai confini del mondo perché ha regalato agli uomini il potere del fuoco. L’ordine viene da Zeus in persona. Nel suo luogo di tortura, Prometeo rivela ad Io, la donna-giovenca, Ia premonizione che cela: qualcuno verrà e spodesterà Zeus dal suo trono sull’universo.
La tragedia di Eschilo affronta i temi del crimine, dell’astuzia e della legittimità di fronte ai più deboli. In un attualissimo conflitto tra potere e libertà, tra responsabilità e ordine costituito, Prometeo Incatenato è lo scenario della perpetua lotta degli Dèi per mantenere il dominio in un mondo in cambiamento che sembra aprire la strada all’età dell’oro degli uomini.
Ma c’è di più, in questa rappresentazione di un luogo ai confini del mondo e di quella condizione primigenia e totalmente insolita che è l’esposizione del dolore: c’è la riflessione sull’effettiva utilità (o inutilità) della Téchne, del progresso che non porta a una effettiva evoluzione. E c’è l’attualità bruciante di un mito che da un lato si fa portatore di una realtà nuova rispetto a un potere cieco e autoritario, incoraggiando la ribellione anche davanti alle conseguenze più radicali, e dall’altro scopre una strana e ambigua verità: il mito ci parla perché anche dopo migliaia di anni e una téchne ormai posseduta in modo profondo e complesso, siamo ancora gli stessi uomini di quelli che guardavano la prima rappresentazione di Prometeo. Siamo ancora schiavi di una caducità che è “cieca speranza” e che non potrà mai essere sconfitta, neanche con l’aiuto dei Titani. Lo sguardo trasversale di Prometeo su questa condizione, la sua di prigioniero e torturato perpetuo e la nostra di “schiavi della morte, vivi di un giorno”, indaga la dinamiche che lo trasportano dal passato a un presente attualissimo, e a una eternità che è propria del grande Teatro.