In Italia, i pezzi brevi di Čechov li chiamano “atti unici”, dal momento che non si tratta di testi in quattro atti, come le opere maggiori. A sua volta, questa fuga dalla norma ci situa in una zona periferica, che da sempre mi interessa più della verifica delle regole proprie della centralità.
Vedo L’Orso e Tragico suo malgrado nel bellissimo Teatro Due di Parma, messi in scena da Nicoletta Robello. Il ritorno alla scena di questi testi del grande autore russo, considerati minori, mi conforta nella scomodità di un formato nato controcorrente (quasi tutta la drammaturgia dell’immagine con cui mi sono formato, nasce con lui).

Sembra che fossero gli attori stessi a chiedere a Čechov queste caramelle acide per darsi lustro. E sembra che lo pagassero di tasca loro.

Sono una forma protozooica che contiene già, in nuce, quello che successivamente chiameremo sketch televisivo; una riformulazione in formato di sketch, schizzo, dei temi che le sue opere maggiori trattavano in modo più armonico con la norma del tempo. Sono lo specchio deformato di una cultura dominata dalla norma.

Tra l’altro sono proprio questi i testi che studiamo a scuola. A volte, di fronte all’impossibilità di utilizzare un’opera intera come materiale di esercizio, i docenti propongono questa dozzina di bignami nei quali il sistema čechoviano rimane intatto, ma senza la complessità della durata o di un montaggio farraginoso. Sono quindi testi che appartengono alla gioventù di quasi tutto il mondo. E c’è in essi un’eterna giovinezza. Non parlano tanto del funzionamento dello sketch, parlano di quello che rifiutano: il grande teatro formale. È come se Sofocle avesse scritto delle commedie per controbattere tutto quello che aveva scritto nelle tragedie. Assumono il divertimento come motore del meccanismo teatrale ed è evidente che sono stati scritti più per il godimento degli attori, che per un regista o per un’istituzione.

Il Teatro Due si propone di metterli in scena tutti, un paio al mese, come fossero i numeri della storia dell’Uomo della rivista Anteojito. La grandezza di questo teatro (che conta dieci spazi di grande versatilità) si reinventa di fronte ad un proposito piccolissimo/essenziale: riunire attori e pubblico in un atto contro-culturale, storicizzante, metalinguistico, e necessario di fronte alla generale agonia teatrale dei grandi propositi messianici.

 Rafael Spregelburd 

traduzione della Redazione / ARTICOLO ORIGINALE SU Perfil.com (12.01.2024)