FIABE DEL BOSCO VIENNESE
Ödön von Horváth
Il titolo Storie del bosco viennese va preso alla lettera: racconta la storia dell’Austria, ma non più la grande Storia dell’Impero ormai defunto, ma le piccole storie della piccola nazione che è rimasta… La forza del disegno di Horváth sta nell’aver dato uno spessore allegorico a ogni personaggio e a ogni situazione del testo: per esempio, la tabaccaia può rappresentare la Vienna opulenta dei valzer; la nonna l’Austria dell’arcadica Wachau, che ha fatto l’Impero; Marianne la giovane Repubblica austriaca, (non a caso si chiama come il simbolo della Rivoluzione francese) che finirà con l’annessione nazista.
È tenendo conto di questo strato allegorico che mi è sembrato giusto tradire il vocabolo Geschichten (letteralmente storie) facendolo diventare fiabe.
Walter Le Moli

FIABE DEL BOSCO VIENNESE
di Ödön von Horváth
con Massimiliano Sbarsi, Cristina Cattellani, Tania Rocchetta, Nanni Tormen, Laura Cleri, Sergio Filippa, Luca Nucera, Francesco Gerardi, Federica Sandrini, Paolo Serra, Paola De Crescenzo, Marco De Marco, Raffaele Esposito, Sabina Borelli, Camilla Nervi*, Anna Laura Penna*, Chantal Viola
scene Laboratorio Progettazione Scenica Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche del Teatro, Università Iuav Di Venezia – Luca Giombi*, Giovanna Pozzato*, Martino Zabeo* – Margherita Palli tutor, Alberto Nonnato assistente
costumi Gianluca Falaschi
luci Claudio Coloretti
assistenti alla regia Giacomo Giuntini, Ginevra Le Moli e Francesco Bianchi*, Francesco Lanfranchi*
collaborazione alla drammaturgia Julie Bernard
regia Walter Le Moli
produzione Fondazione Teatro Due
*studenti dell’Università IUAV di Venezia, Dipartimento PPAC – Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche del Teatro
debuttato il 9 gennaio 2014
L’ampiezza del respiro e la straordinaria fusione di una Òolteplicità di rapporti sullo sfondo di un disegno compatto fanno annoverare senz’ombra di dubbio Fiabe del bosco viennese fra i classici del teatro moderno, un capolavoro che segna per Ödön von Horváth il ritorno esplicito all’orizzonte della Vienna asburgica della sua infanzia. Una Vienna sconfitta, pauperizzata, bazar di espedienti e di svendite, mercato di ideologie in forme tali da consentire agli ex cittadini dell’impero asburgico di nobilitare la bassezza, la crudeltà fisica e mentale che aspettano solo che il nazismo prenda forma per scatenarsi.
Con esplicito riferimento al valzer omonimo di Strauss, Horváth ha composto nel 1931 questa commedia popolare che gli valse il Premio Kleist: il dramma racconta le vicende di un popolino alle prese con ambigue relazioni famigliari, amorose e commerciali; protagonista è una giovane donna, Marianne, che manda in fumo il fidanzamento organizzatole dal padre, venditore di giocattoli, con Oskar, macellaio, perché innamoratasi di un damerino di nome Alfred, uno scommettitore perdigiorno che non ha intenzioni molto serie nei suoi confronti. Un errore che le costerà caro e che la vedrà trascinata nella vergogna e nella miseria.
Sottratta l’ironia che vela tutto il testo e lasciate sullo sfondo le aggrovigliate vicende da operetta, Fiabe del bosco viennese rivela la sua natura duramente politica e denuncia con sarcasmo e cinismo le debolezze e i vizi dei piccoli borghesi dell’epoca. Con la leggerezza e la vivacità che contraddistinguono la moda musicale e teatrale dei primi ’900, Horváth mette in scena una sorta di “espressionismo fantastico”, con cui demistifica il suo tempo e in cui i protagonisti sembrano figure sbalzate fuori dalla Storia, senza più alcun punto di riferimento etico o morale, sagome pittoriche dai tratti marcati, estratte dallo sfondo del quadro in cui erano state ritratte.
“Nulla quanto la stupidità dà il senso dell’infinito” recita un epigramma del testo, riassumendo l’agrodolce vicenda di Marianne e dei suoi compagni di sventure, tutti affannati in una tragicomica rincorsa del fato, un destino che porta in seno tutti i presupporti del nazional-socialismo incipiente. Fiabe del bosco viennese si configura dunque come una satira amara sulla menzogna e la brutalità, l’ipocrisia e la violenza dei cittadini dell’ex Austriae felix, riflettendo le angosce di un’epoca in piena crisi globale, non così distante da quella che strangola l’Europa dei nostri giorni.
LIBRETTO DI SALA

Era fuggito da Vienna (era certamente in pericolo perché molto di sinistra), e ad Amsterdam si era recato da un chiaroveggente che gli aveva preannunciato che a Parigi lo avrebbe raggiunto il suo destino… Horváth prese il primo treno e andò a Parigi. Alla stazione, a Parigi, incontrò conoscenti che volevano portarlo da qualche parte. Corse via gridando che non aveva tempo, doveva fare una cosa importante. E così vagabondò per le strade di Parigi finché arrivò ai Champs Elysées. Faceva un caldo impossibile, non c’era un soffio di vento – rimbombò un solo tuono, guizzò improvvisamente un fulmine, e abbatté l’albero sotto cui c’era Horváth. L’albero crollò sulla testa di Ödön e lo uccise sull’istante. Non fu un temporale, non ci furono altri fulmini, nessuno, fu semplicemente un’uccisione suprema. Horváth era un genio – ma senza futuro.
Alma Mahler